Da destra a sinistra, no quasi unanime
«Governo tecnico? Abbiamo già dato» In Transatlantico i paletti dei partiti
Da quando si è affacciata l’ipotesi di un governo istituzionale su indicazione del Capo dello Stato Sergio Mattarella, nel Palazzo i partiti hanno cominciato a discutere e a dividersi sulle posizioni da assumere. Si va dal rifiuto netto del M5S fino alle dichiarazioni possibiliste di FI. In mezzo c’è sempre il Partito democratico con le sue correnti e l’ombra ingombrante dell’ex segretario Matteo Renzi che continua a dettare la linea. Eppure in questa confusione l’unica certezza, e di conseguenza l’unico vero paletto, che ripetono all’unisono le delegazioni di Lega, Fratelli d’italia, Movimento Cinque Stelle e Forza Italia, è rappresentata dal «no» a un esecutivo sul modello dell’esperienza di Mario Monti del 2011.
«Abbiamo già dato», allarga le braccia l’ex presidente del gruppo di Forza Italia Renato Brunetta. Gli fa eco Fabio Rampelli, capogruppo di Fratelli d’italia a Montecitorio, che esclude qualsiasi forma di esecutivo guidato da una figura istituzionale: «Il fantasma di un Monti bis potrebbe essere il pretesto per i M5S. Dunque, no a governi tecnici e sì a un governo politico di centrodestra che si occupi delle emergenza. Se le annose questioni, dal Def alla legge di Bilancio, le può risolvere un governo Flick o un esecutivo Gentiloni per quale motivo non può farlo un governo di centrodestra?».
Anche il leghista Claudio Borghi si mette di traverso: «La controfigura di Monti è un rischio che vediamo come il male assoluto. Noi vogliamo evitare questo scenario. Come? Il M5S si accordi con noi su un nome condiviso — né Di Maio, né Salvini — ma una persona che possa puntare a una mediazione. Abbiamo in mente dei nomi, ma non possiamo rivelarlo».
Gli azzurri di Silvio Berlusconi invece non disdegnano l’ipotesi di un esecutivo di tregua ma tracciano un percorso ben definito. «Sicuramente — spiega il portavoce del gruppo Giorgio Mulè — si può fare un governo di scopo mettendo in cima alla lista due cose: sterilizzare l’aumento dell’iva e ritoccare la legge elettorale con un premio di maggioranza, e infine capace di andare al Consiglio europeo a difendere il nostro bilancio».
I Cinque Stelle hanno alzato il muro, Luigi Di Maio è stato perentorio: «Non esiste tregua per i traditori del popolo». E le truppe pentastellate, anche a taccuini chiusi, preferiscono affidarsi alle parole del capo politico. «Il governo tecnico — confidano — non ha senso. Le ammucchiate non ci interessano. E il governo con la Lega è stato chiuso quando è saltata la trattativa».
Infine c’è il Partito democratico. Il Nazareno pone una prima condizione come dirimente. «Deve essere un governo sostenuto da tutti e tre i poli», argomenta il senatore Francesco Verducci. Il quale poi aggiunge: «In questo senso è un governo di tregua. Sotto l’egida molto forte del presidente della Repubblica. Con un mandato molto preciso, circoscritto a riforme e scadenze europee». Mentre Matteo Richetti la mette così: «I paletti li hanno già posti gli altri. Questa è una situazione di emergenza generale. Ma vogliamo davvero far votare gli italiani?».
In questo contesto, non certo facile, nel palazzo c’è chi ricorda la profezia di Alfano all’indomani del voto: «Vedrete che quest’estate non potrò spostarmi perché dovrò lavorare alla Farnesina».