La voce di Mateo e il despota Ortega
La sua famiglia — divisa da scelte di campo differenti, contrasti, rivalità — racconta la storia del Nicaragua di questi quattro decenni. Mateo Jarquín Chamorro, giovane storico a Harvard, è il nipote di Pedro Joaquín Chamorro, l’editore del quotidiano La Prensa il cui assassinio, nel 1978, fu uno dei fatti decisivi che portarono alla caduta del regime di Somoza. «Il leader sandinista Daniel Ortega — scrive Mateo — sta costruendo una dittatura dinastica come quella che ha ucciso mio nonno».
Rivoluzionario trasformatosi in un santone dispotico, Ortega ha cambiato la Costituzione per essere rieletto, ha nominato vicepresidente la moglie Rosario Murillo, è riuscito a manipolare la Corte suprema per ottenere sentenze che mettessero fuori gioco l’opposizione. Il suo controllo sull’apparato statale è totale. Ha dato campo libero al settore privato, ottenendo la non interferenza nella politica. «¡Daniel, Somoza, son la misma cosa!» gridavano i manifestanti scesi in piazza ad aprile dopo la decisione di aumentare i contributi e diminuire le pensioni. Il pugno di ferro del governo ha provocato 63 vittime, in gran parte studenti. «I millennials protagonisti di questa insurrezione civica — osserva Benjamin Waddel su Global Americans — sono i diretti discendenti dei muchachos che rovesciarono la dittatura».
La nonna di Mateo è Violeta Barrios Chamorro, che nel 1990 riuscì a sconfiggere Ortega, logorato da molti errori e da troppi nemici, primi fra tutti gli Stati Uniti che finanziavano illegalmente la guerriglia dei Contras. Sua madre è Claudia Lucía Chamorro, ambasciatrice in Costarica quando il fratello Pedro Joaquín Chamorro jr, uno dei capi dei Contras, manifestava davanti alla rappresentanza diplomatica a San José. Il padre di Mateo, Edmundo Jarquín, sandinista dissidente, si candidò alla presidenziali del 2006. Iniziò allora la seconda vita dell’uomo che non vuole farsi da parte.
Con un albero genealogico del genere, si capisce perché Mateo osservi che per lui «la politica nicaraguense è una questione personale». «Ma questo non mi rende diverso — aggiunge — da tutti i miei compatrioti che hanno perduto i loro cari nelle lotte passate o presenti per costruire il Paese che meritano». Coraggio, muchachos!