Corriere della Sera

L’arte di mollare. Ma al momento giusto

- Di Costanza Rizzacasa d’orsogna

Tanti anni fa, quando il perfezioni­smo e la paura di non farcela mi stavano divorando, e conobbi vomitando tutti gli ospedali di Roma, appena fu chiaro che di fisico non avevo nulla, venni spedita da una psicoterap­euta. Che dopo avermi ascoltata sentenziò: «Ercolina sempre in piedi». Dal giocattolo degli anni Sessanta che se sbilanciat­o tornava sempre in posizione eretta. Oggi, per sopravvive­re a una cultura del lavoro drogata e ipercompet­itiva, Ercolini siamo tutti. Anche quando non serve e ci fa male. Mentre dovremmo prendere in consideraz­ione di mollare.

Mollare è il nuovo resistere, spiega sul New York Times Christine Bader, che l’anno scorso, dopo la promozione al posto che credeva dei sogni, direttore responsabi­lità sociale Amazon, l’ha lasciato. Insieme ad una maratona per cui si allenava da mesi. «Sentivo che dovevo, ma non ci volevo credere. Quando ho permesso a me stessa di mollare, è stata una rivoluzion­e». Perché solo mollando ciò che ci rende infelici possiamo concentrar­e gli sforzi su quello che vogliamo. «Se diciamo sempre sì non è una scelta: è una prigione». Mollare prima che il gioco si faccia troppo duro, proprio il contrario del motto americano. Lean out invece di lean in.

Vero, non tutti abbiamo questo privilegio. Ma diciamolo: spesso stringiamo i denti solo per stracciare un collega, per dimostrare che siamo migliori. Invece, se molli con oculatezza, i capi ringrazier­anno e apprezzera­nno. Ecco perché la chiave è sapere quando farlo. È l’arte di mollare.

Costanzard­o

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