Il rigore (forzato) di Moscovici sui conti italiani
PARIGI Il 60enne ex ministro francese Pierre Moscovici, dal 1° novembre 2014 commissario europeo agli Affari economici e monetari, è costretto da anni ad acrobazie dialettiche e diplomatiche. Da ex responsabile delle Finanze francesi nei primi due anni della presidenza Hollande, non può considerarsi estraneo al tradizionale lassismo di Parigi sui conti pubblici. Ma indossata la giacca di commissario a Bruxelles, deve richiamare gli europei ai loro impegni: lo fa con i francesi per esortarli a rispettare finalmente la soglia del 3 per cento, e lo fatto pure due giorni fa con l’italia. Prima di prendere la parola, Moscovici fa più o meno sempre la stessa premessa: «Non è opportuno fare osservazioni che potrebbero sembrare un’ingerenza negli affari interni di un Paese membro». Poi però le
osservazioni è costretto a farle, perché quello è il suo ruolo. Ha fatto scalpore la sua frase sugli sforzi «pari a zero» compiuti dall’italia sul debito pubblico nel 2018. Sembrerebbe un giudizio moralistico sullo scarso impegno di Roma, ma a ben vedere Moscovici — che ama sempre ricordare la grande stima verso il ministro Padoan — non parla di intenzioni ma di risultati. Lo scorso autunno la Commissione aveva chiesto una correzione dello 0,3% sul deficit strutturale, che però — in base alle previsioni di primavera — resta invariato allo 1,7% nel 2017-18, e anzi è destinato ad aumentare fino al 2% nel 2019. In questo senso gli sforzi sono «pari a zero», anche se il Tesoro italiano parla di una riduzione dello 0,1%. Moscovici è accusato di praticare un rigore che alimenta i populismi, ma è molto più comprensivo verso l’italia (e la Francia) dei commissari del Nord Europa. Se non chiude entrambi gli occhi, è anche per non farsi scavalcare da colleghi più intransigenti.