Rimini, commedia con delitti
Ambienti felliniani, humor milanese nel giallo di Gino Vignali (senza Michele)
«Le manine scoincidono nel nostro paese con la primavera. Sono delle manine di cui che girano, vagano qua e vagano là». La filastrocca poetica e sgrammaticata che apre il film Amarcord di Federico Fellini vale da biglietto da visita del romanzo La chiave di tutto, che segna l’esordio nella narrativa di Gino Vignali, una delle due metà della premiata ditta di risate intelligenti Gino & Michele. Le «manine» sono i fiori dei pioppi che, appunto, si muovono nell’aria, imprevedibili e leggeri, come sa essere il racconto di Vignali.
La storia è una riuscita commedia con delitti che si svolge nella Rimini di oggi, avvolta in atmosfere invernali e cullata da echi felliniani; al centro è un personaggio azzeccato, il vice questore Costanza Confalonieri Bonnet, donna bella, di ottima famiglia e di buona educazione; è disinvolta per natura e elegante per definizione, sempre preparata, qualità riassumibili in un unico aggettivo: milanese.
Il romanzo — che esce per le edizioni Solferino e che è disponibile sia in libreria che in edicola — si apre con un corto circuito: un senzatetto, noto in città con il soprannome di Vagano per l’abitudine di recitare l’incipit del film Amarcord, viene trovato in una notte d’inverno morto sotto una panchina nella rotonda del Grand Hotel, luogo quest’ultimo carico di storia e gloria e che ora è l’attuale residenza di Costanza, proprietaria all’ultimo piano della suite Gradisca (dal nome di un personaggio cult del suddetto film).
Caso, forse, unico nella storia del giallo: alla poliziotta, per arrivare sulla scena del crimine, basta infilarsi il giaccone sopra il pigiama e scendere al piano terra. «Vice questore in odore di Capo della Polizia e profumo Chanel», è la felice sintesi che Vignali fa del personaggio. Basta da sola a far capire che Costanza ha mire ambiziose e che non rinuncia alla sua femminilità: arriverà in alto e quel giorno sarà fresca di parrucchiera e tonificata da un massaggio.
Appena il tempo di arrivare in ufficio, la mattina successiva e i morti raddoppiano: dopo un barbone, un nero. Entrambi sono stati picchiati, torturati e bruciati. La direzione ovvia sembra quella di crimini con matrice d’odio e razzismo, ma qualcosa non quadra: è Costanza ad avere l’intuizione e la determinazione di dirigere altrove l’attenzione; comincia a indagare a fondo sulle vittime, scopre un passato ingombrante del ragazzo africano e una chiave che non sembra aprire nulla nello stomaco del clochard.
Attorno a Costanza — Connie, per gli amici; Cocò per gli intimi — si muove una squadra che funziona, che sa fare il proprio mestiere e che sembra pensata per piacere al lettore: l’ispettore saputello Orlando Appicciafuoco, che cita motti latini e corregge i colleghi che sbagliano l’italiano; il vice sovrintendente Emerson Leichen Palmer Balducci da Corpolò (i cui genitori sapevano tutto del rock progressive degli Emerson Lake & Palmer, poco o nulla della lingua inglese); e l’agente scelto Cecilia Cortellesi da Bergamo, esperta di informatica e di «diavolerie elettroniche»; in aggiunta, l’anatomopatologa (poteva mancare!) Myrta Albanese, compagna di aperitivi di Connie, capace di espressioni colorite come quando difronte dell’escalation di fatti drammatici e violenti sbotta: «Diobo’ Connie, che cazzo sta succedendo? La Romagna come il Messico?». I dialoghi sono il valore aggiunto del libro: presi a sé valgono quasi come sketch comici, costruiti con gusto per la battuta e tempi teatrali calibrati.
Titolo a parte, il vice questore Costanza è la vera chiave del libro. Sa motivare la squadra, memorabile la scena in cui per evitare che le informazioni arrivino a orecchi indiscreti tutti si ritrovano a fare il punto sulle indagini in una location inedita: una spa. Sa mettere a proprio agio chi le sta attorno, lettore compreso, che dopo poche pagine entra già quasi in confidenza con lei: conosce molto della sua vita, delle sue storie, della sua famiglia. Connie ricambia l’attenzione di chi legge concedendosi con generosità, mostrandosi a tutto tondo: lato a e lato b, inteso proprio come il posteriore, su cui un cameraman malizioso zooma durante la conferenza stampa e che diventa virale in rete. A margine della storia l’autore lancia frecciatine al sistema dell’informazione e dello star system e al mondo dei social network.
Gino Vignali, con Michele Mozzati, ha cresciuto più di una generazione di comici e cabarettisti italiani; insieme Gino & Michele hanno inventato l’agenda Smemoranda (nel 1978) e firmato Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano (1991), raccolta bestseller di battute e freddure. Ora Vignali si prende la libertà di un’avventura in solitaria, «una scappatella» la definisce. Farà bene alla coppia? Di sicuro Gino da solo fa conquiste: ottiene il favore e le simpatie del lettore.
Al centro del libro c’è Costanza, vice questore: donna preparata, bella ed elegante, sa motivare la squadra