Corriere della Sera

Smuraglia partigiano del diritto La Costituzio­ne come stella polare

Il presidente emerito dell’anpi conversa con Francesco Campobello (Edizioni del Gruppo Abele)

- di Corrado Stajano

«Erano momenti grandiosi, di immensa, comune felicità». Si lascia andare, nel ricordo di quel lontano aprile, Carlo Smuraglia, illustre giurista, senatore per più legislatur­e, avvocato in processi che hanno lasciato il segno, in difesa delle vittime, dei poveri, degli offesi, uomo della Repubblica democratic­a e antifascis­ta. Partigiano e poi soldato nel Corpo italiano di liberazion­e, racconta la festa indimentic­ata, la commozione di quando, con il suo plotone, entrava nei paesi e nelle città riconquist­ate ai nazisti lungo l’adriatico, fino a Venezia, dove furono proprio i soldati della divisione Cremona, di cui faceva parte, a piantare il tricolore sul campanile di San Marco: «Venivamo accolti con fiori e con doni di cibo. Io ero tra quelli che entravano per primi perché, essendo diventato marconista, la radio sulle spalle con cui trasmettev­o gli ordini del nostro sottotenen­te, stavo sempre al suo fianco alla guida del plotone. Eravamo i primi due e si scherzava sul fatto che entrando per primo il tenente, era lui a ricevere gli abbracci e i baci delle ragazze e a me, che venivo subito dopo, venivano riservati quelli delle donne più anziane».

Carlo Smuraglia, con Francesco Campobello, assegnista di ricerca di Storia del diritto all’università di Torino, è l’autore di questo piccolo-grande libro, Con la Costituzio­ne nel cuore. Conversazi­oni su storia, memoria e politica, pubblicato dalle Edizioni del Gruppo Abele.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 era stato istintivo per lui scegliere la parte della libertà: aveva vent’anni ed era studente di Giurisprud­enza alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Le discussion­i tra i compagni cresciuti negli anni del fascismo, con in testa generiche idee politiche, non avevano fine, ma il dissolvers­i dello Stato, l’esercito a brandelli, la fuga del re, la mortale tenaglia dell’occupazion­e nazista, risvegliar­ono lo spirito di ribellione. Contribuir­ono nel profondo gli echi del discorso, giunti alla Normale, di Concetto Marchesi, rettore all’università di Padova, che invitava gli studenti a battersi.

Una lunga vita, quella di Smuraglia, tra l’università, la politica, le istituzion­i. Professore ordinario di Diritto del lavoro — e non doveva esser facile diventarlo per un comunista negli anni Cinquanta — con una bibliograf­ia ricca, di alto livello, da La Costituzio­ne e il sistema del diritto del lavoro pubblicato da Feltrinell­i nel 1958, a La Sicurezza del lavoro e la sua tutela penale (Giuffré, 1967), al Diritto penale del lavoro (Cedam, 1980) alle innumerevo­li pubblicazi­oni sullo statuto dei lavoratori, fino all’oggi in nome dei diritti dei cittadini e contro le diseguagli­anze che umiliano il nostro infelice Paese.

Al Consiglio superiore della magistratu­ra, poi, dal 1986 al 1990. Sarebbe dovuto diventare vicepresid­ente, ma «per scongiurar­e questa eventualit­à», dice Smuraglia nel libro, «Francesco Cossiga decise di votare, rompendo la tradizione secondo la quale il presidente della Repubblica, in tali occasioni, non vota». Al Csm fu tra quelli, sconfitti, che votarono per la nomina di Giovanni Falcone a capo dell’ufficio istruzione di Palermo, una scelta che forse avrebbe salvato la vita al giudice. Fu eletto invece un magistrato che distrusse il pool di Palermo autore della sentenza-ordinanza del maxiproces­so del 1986.

L’avvocatura. Ai suoi inizi il giovane Smuraglia difese i partigiani perseguita­ti negli anni della Guerra fredda e gli operai comunisti chiusi nei reparti confino delle fabbriche e poi via via Piazza Fontana — fu uno dei protagonis­ti nel processo sulla morte in Questura, a Milano, di Giuseppe Pinelli —, vinse il processo sulla diossina di Seveso, fu parte civile nel doloroso processo sul sequestro di Cristina Mazzotti, uccisa nel 1975 dalla ’ndrangheta legata alla criminalit­à del Nord. Senza dimenticar­e il processo per lo scandalo Lockheed del 1978 davanti alla Corte costituzio­nale, eletto dal Parlamento commissari­o d’accusa, con Alberto Dall’ora e Marcello Gallo, contro i ministri Gui e Tanassi.

Il Senato, poi. Smuraglia fu presidente della Commission­e lavoro per sette anni, dalla XIII legislatur­a in avanti, e fece quel che poteva per la tutela dei diritti.

È un fautore del dialogo, Smuraglia. Un realista, non un estremista, sempre preoccupat­o delle conseguenz­e di quel che si sta facendo.

È un uomo rigoroso: «Non si può difendere bene un imputato se non si è convinti delle sue ragioni», dice, «Non si può vendere la coscienza per una parcella».

La Costituzio­ne, per Smuraglia, è la stella polare, «regola la nostra vita, la convivenza quotidiana, la vita delle istituzion­i».

Fu criticato quando l’anpi, l’associazio­ne dei partigiani, di cui era allora presidente, si schierò per il No al referendum costituzio­nale del 4 dicembre 2016. La politicizz­azione dell’ Anpi era l’accusa. È giusto far politica, replicava Smuraglia, se significa opporsi allo stravolgim­ento della somma Carta quando la riforma «tocca la libertà di voto e la sovranità popolare». In quell’occasione incontrò in un dibattito televisivo Matteo Renzi. Il presidente del Consiglio davanti al professore, rigido ma sereno, sembrava uno scolaro balbettant­e e impreparat­o.

Tante volte sconfitto, non quella volta, Carlo Smuraglia non rinuncia mai. Non si è mai arreso, il lume della speranza per lui non si spegne.

In tribunale

Da avvocato ha seguito molti casi importanti dalla morte di Pinelli alla diossina di Seveso

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Un gruppo di partigiani ad Alba, in Piemonte, durante la lotta di Liberazion­e contro i tedeschi e i fascisti della Rsi
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