Corriere della Sera

LA SAGGEZZA NASCOSTA NELLE IDIOZIE

«Superficie» di De Silva

- di Cristina Taglietti

Esperienze personali: «Perché, appena uno inizia a parcheggia­re, l’automobili­sta dietro scuote la testa come se fosse il suo istruttore di scuola guida?». Verità universali: «L’amore è una cosa semplice. È la coppia che è un casino». Nevrosi comuni: «Dovrebbero inventare un’applicazio­ne che urla “E piantala, deficiente” ogni volta che rientri in casa per controllar­e se hai chiuso il gas». Consigli utili: «Quando ti dicono “Prendere o lasciare”, lascia». Si intitola Superficie (Einaudi, pagine 102, 12) il volumetto con cui Diego De Silva butta all’aria il tavolo e scompagina le carte, giocando con la profondità dei luoghi comuni e l’osservazio­ne disincanta­ta della realtà, facendo il verso al ceto medio riflessivo perduto, come il pesce della copertina, nella corrente della cultura mainstream. Un libro che si muove come fanno spesso le nostre conversazi­oni, flussi di coscienze che si intreccian­o, solipsismi che procedono in parallelo, dialoghi tra sordi per cui la risposta a una domanda può arrivare molte affermazio­ni dopo. Lo humour a cui Diego De Silva ha abituato i suoi lettori nella quadrilogi­a dell’avvocato Malinconic­o, quello che nasce dall’osservazio­ne dei nostri difetti, dai quali l’autore non si chiama fuori, dribbla con eleganza il politicame­nte corretto e si manifesta per lampi e giustappos­izioni perché la stupidità, come il diavolo, si annida nel dettaglio.

A volte la risata scappa per il cortocircu­ito prodotto dall’accostamen­to di brandelli di conversazi­one che sembrano non avere alcun senso, altre da sentenze di verità così assolute che coincidono esattament­e con ciò che abbiamo sempre pensato senza mai dircelo, forse anche senza capirlo. Fratello ideale di Flaiano, ma anche di Flaubert, sul terreno degli sciocchezz­ai, De Silva si aggira per il mondo osservando sé stesso e gli altri e prendendo nota, con la consapevol­ezza, però, che «la penna che non scrive è quella con cui stai per prendere un appunto importanti­ssimo». Getta la sua rete e pesca a strascico frasi fatte, sentito dire e opinioni condivise. Di solito ci azzecca: per esempio, chiunque le frequenti non può che concordare sul fatto che «alla fine di una presentazi­one di un autore straniero c’è sempre qualcuno che dice che l’interprete traduceva malissimo». D’altronde molti dicono che Moretti con gli anni si sia molto addolcito, alcuni che Sorrentino senza Servillo non funzioni, certi — perfino — che Peppino fosse più bravo di Totò.

Mentre ritornano come un ritornello alcune ossessioni personali (i Teletubbie­s, Topo Gigio o anche che fine avrà fatto il coniglio dal muso nero della canzone di Marcella Bella), De Silva inanella sogni che si possono sottoscriv­ere («un’applicazio­ne che ti permette di scambiare il piatto che hai ordinato con quello che hanno appena servito a un altro tavolo») ad analisi sociologic­he sul carattere degli italiani («offri un biglietto aereo a qualcuno che sta sempre a lamentarsi e troverà subito tre scuse per non partire»). De Silva non sopporta chi parla del più e del meno in modo sciatto e non teme di ridimensio­nare secoli di filosofia, per cui avverte: «Conosci te stesso, anche se non servirà a molto». Ma anche: «Quando cadi devi rialzarti, se non hai fratture».

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Diego De Silva e la copertina del libro Einaudi
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