Corriere della Sera

Putin ricomincia dalla Germania

- Di Paolo Valentino

Vladimir Putin ha giurato per il suo quarto mandato da presidente della Russia. Al termine del quale avrà guidato il Paese per un periodo inferiore solo a Stalin. Tra le priorità, dopo l’economia, ridisegnar­e il rapporto tra Mosca e l’europa con i segnali da lanciare alla Germania.

BERLINO È densa di simboli, messaggi politici, premonizio­ni e insicurezz­e, la nuova inaugurazi­one di Vladimir Putin. Nella dorata sala di Alessandro al Cremlino, teatro dell’incoronazi­one di tanti zar, il presidente russo ha giurato per il suo quarto mandato, al termine del quale avrà guidato il Paese degli undici fusi orari più di Breznev, più di molti Romanov e appena poco meno di Stalin.

Ma all’acme della sua parabola, l’uomo più potente del mondo nella definizion­e di Time, Vladimir Vladimirov­ich attraversa le colonne d’ercole di una sfida complessa e in parte sconosciut­a, dove alle crisi irrisolte dell’economia, della politica estera e della stabilità interna, si aggiunge la madre di tutte le questioni in ogni sistema fortemente accentrato e verticale: la transizion­e del potere, il passaggio delle consegne che l’attuale Costituzio­ne in teoria gli impone nel 2024.

Putin conosce bene le criticità russe, il pericolo della stagnazion­e, il ritardo tecnologic­o, l’isolamento internazio­nale e sia pure nel suo linguaggio millenaris­tico, ieri vi ha perfino fatto riferiment­o, usando l’immagine dell’araba Fenice, che risorge sempre dalle sue ceneri, per celebrare la capacità della Russia di rinascere dalle tante, terribili tragedie della sua Storia. «Una nuova qualità della vita, benessere, sicurezza, salute per il nostro popolo, ecco ciò che è importante oggi», ha detto, riassumend­o la sostanza dei ritardi e dell’agenda su cui si gioca il futuro del Paese e suo personale.

Il cantiere dell’economia è prioritari­o. Investimen­ti, liberalizz­azioni, lo sviluppo di una giovane classe imprendito­riale non possono essere più rinviati. Ma non può bastare il probabile ritorno in una posizione di comando di Alexej Kudrin, forse il solo economista orientato al mercato che Putin stima e al quale è legato da antica amicizia. Non basterà perché ogni progetto di riforma e rilancio economico passa attraverso una cooperazio­ne con l’occidente, che il regime delle sanzioni rende difficile o impedisce del tutto.

E qui entra in ballo il secondo cantiere che attende Putin, quello del rapporto con l’europa, senza il quale la Russia può anche giocare le sue partite regionali, trovando alleanze di convenienz­a, ma non «naturali» come quelle con Cina e Iran. Ma non può certo risolvere le sue debolezze interne.

Ieri, in poche ore, Putin ha mandato un doppio segnale all’indirizzo della Germania, vista come passaggio obbligato di ogni distension­e a Ovest. Pronunciat­o il discorso di accettazio­ne, il presidente è sceso dal palco per andare a stringere la mano prima al patriarca Kirill e subito dopo all’ex cancellier­e tedesco Schröder, che il protocollo aveva messo in prima fila davanti a tutti i membri del governo russo. Un modo per sottolinea­re l’importanza che per il Cremlino ha la costruzion­e del gasdotto North Stream2, di cui Schröder presiede il consorzio. L’altro segnale è l’annuncio, poco dopo la fine della cerimonia, che Angela Merkel sarà a Sochi il 18 maggio per un vertice con Vladimir Putin.

I rapporti con l’occidente sono al minimo storico. Stati Uniti ed Europa vedono in Ucraina, in Siria, nelle interferen­ze elettorali della Russia le prove di una strategia d’attacco del Cremlino. Mentre per Putin sono l’america e gli alleati a non voler riconoscer­e i legittimi interessi della Russia, a trattarla da paria e anche a tramare per il regime change. Quando però si tratta di provare a riaprire il dialogo, il presidente russo guarda sempre in primo luogo a Berlino.

Sul fondo, mentre nelle sale del Cremlino scrosciava­no gli applausi, nelle strade di Mosca risuonavan­o ancora le voci di protesta di centinaia di giovani mobilitati da Alexej Navalny. Una minoranza, oggi. Ma come dicevano i Rolling Stones, il tempo è dalla loro parte. Vladimir Putin non può dire altrettant­o.

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(Alexander Zemlianich­enko / Reuters) La cerimonia Putin ieri al Cremlino

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