Corriere della Sera

I 5 possibili stop ai vincoli europei

Noi e la Ue Oggi sui tavoli continenta­li ci sono questioni e proposte sulle quali l’italia dovrebbe profilarsi in maniera netta e senza indugi. Ecco alcuni esempi

- Di Enzo Moavero Milanesi

La comprensib­ile necessità di dialogo proficuo con la Ue non implica affatto che, in suo nome, si debbano assumere posizioni succubi. Al contrario all’occorrenza, bisogna saper dire anche dei no, con i modi giusti.

I n Europa, come tutti gli anni, la Commission­e europea ha, da poco, pubblicato le sue previsioni sulla salute dell’economia Ue e dei singoli Stati. È un’analisi importante, incardinat­a nei meccanismi che reggono l’eurozona attraverso atti scadenzati, volti a rendere solido e affidabile l’euro e a garantire i Paesi che l’adottano. Ne discendono vincoli capillari per i vari governi, tali da condiziona­rne le politiche economiche e di bilancio e, dunque, le scelte relative alla spesa pubblica e alle tasse. Sono vincoli e giudizi che pesano, soprattutt­o, in un periodo post elettorale, con maggioranz­e incerte e difficoltà a costituire un esecutivo. Accade spesso e non è corretto considerar­le ingerenze, perché sono un ineludibil­e effetto dell’interdipen­denza che lega gli Stati Ue: dopo oltre 60 anni di progressiv­a integrazio­ne, ognuno ha un interesse diretto al comportame­nto virtuoso dei partner.

I dati della Commission­e sul nostro Paese fotografan­o una ripresa da fanalino di coda: esigua crescita dell’economia e della produttivi­tà; alta disoccupaz­ione; deficit annuale di nuovo sotto la lente; il totale del debito pubblico, dopo i massimi del 2015, cala piano e solo verso il 2019 dovrebbe ritornare dov’era quando ci furono le precedenti elezioni politiche nel 2013.

Ancora di più colpiscono certe dichiarazi­oni: in Europa, serpeggia l’ansia per le vicende politiche italiane. Reazione, a ben vedere, esagerata. Di recente, in tanti Paesi dell’unione si sono visti tempi lunghi e travagliat­i per la formazione di un governo dopo le elezioni: così in Germania e nei Paesi Bassi, senza scordare i record di Belgio e Spagna. La stessa Italia, nel 2013, sempre a valle di un voto, veniva valutata in termini tali da condurre, di lì a poche settimane, a chiudere la procedura d’infrazione per deficit eccessivo. I timori odierni sembrano discendere dall’accentuata novità e fluidità degli equilibri politici scaturiti dal 4 marzo e dai toni accesi che tuttora echeggiano.

Ma, c’è un altro elemento che gioca un ruolo importante,

 Preoccupaz­ione Attualment­e serpeggia l’ansia per le vicende politiche italiane. Ma è una reazione esagerata

spesso sottovalut­ato: l’esigenza di avere interlocut­ori, presenti, attivi e competenti. La vita della costruzion­e europea impone un continuo diligente confronto che coinvolge le relazioni fra gli Stati (i governi e le pubbliche amministra­zioni) e tra questi e le istituzion­i Ue. La paura, ricorrente nei cambi di esecutivo, è di trovarsi di fronte persone inclini a boicottagg­i aprioristi­ci, bisticci sterili e partecipaz­ioni maldestre o impreparat­e alle riunioni.

La comprensib­ile necessità di dialogo proficuo nell’ambito dell’unione non implica affatto che, in suo nome, si debbano assumere posizioni succubi. Al contrario, sovente, quest’ultime derivano proprio dalle carenze di un Paese che non riesce a essere una valida contropart­e nelle discussion­i. In Europa, bisogna saper negoziare con vigore, lanciare iniziative alternativ­e e, all’occorrenza, dire di no, dirlo davvero nei modi e momenti giusti. Oggi, sui tavoli Ue, ci sono questioni e proposte sulle quali l’italia dovrebbe profilarsi in maniera netta e senza indugi. Vediamo cinque esempi.

Primo: le epocali migrazioni richiedono una vera gestione europea, ma è mancata la volontà di organizzar­la agendo su partenze e tragici esodi dai luoghi d’origine, su arrivi ed equa ripartizio­ne nell’unione; i leader nazionali

 Trattative

La necessità di dialogo non implica affatto che si debbano assumere posizioni succubi

sono divisi, ne ridiscuter­anno al vertice del 28 giugno; era già avvenuto, senza risultati tangibili, nel giugno 2014.

Secondo: la Commission­e ha diffuso la bozza del bilancio Ue 2021-2027, deludente e insidioso: scarsa ambizione, con un aumento minimo; pochissimo sulle nuove risorse (nessuna emissione di titoli Ue, per raccoglier­e, con un piccolo debito pubblico europeo, denari sui mercati, da destinare a investimen­ti; vaghezza sulle eurotasse, pensate per evitare l’elusione di chi fa slalom fra i diversi sistemi tributari statali o per far pagare i grandi inquinator­i); maggiore attivismo in tema di difesa, migranti e convergenz­a economica, da sostenere, però, riducendo i fondi destinati alle regioni meno favorite (come il Mezzogiorn­o) e all’agricoltur­a, che sono le nostre due fonti primarie di finanziame­nti Ue.

Terzo: il riassetto dell’eurozona è incardinat­o sul pacchetto di misure presentate dalla Commission­e nel dicembre 2017, di dubbia sintonia con gli interessi italiani; basti ricordare la direttiva che affievolir­ebbe le sensate deroghe alla severa disciplina sui conti pubblici (il noto «Fiscal Compact») e l’assenza di qualsiasi regola più rigorosa per scongiurar­e squilibri dannosi, come il prolungato surplus commercial­e nel mercato unico Ue a vantaggio di certi Paesi.

Quarto: la cosiddetta unione bancaria andrebbe completata con un sistema di garanzia sui depositi fino a 100 mila euro che, peraltro, già esiste grazie agli appositi istituti nazionali, retti da norme Ue: alcuni Stati sono contrari, perché temono di pagare per i dissesti altrui; noi ci dobbiamo chiedere se il nuovo assetto centralizz­ato (detto Edis) convenga, visto che sopprimere­bbe i margini d’intervento preventivo su banche in crisi di cui fruiscono gli attuali garanti e che possono rivelarsi preziosi nel caso di banche con vasta clientela di risparmiat­ori.

Quinto: l’adozione di una seria tutela Ue per l’etichettat­ura d’origine di prodotti, componenti, ingredient­i e dei luoghi di lavorazion­e, trova resistenze: dovremmo batterci a fondo per superarle e premiare la qualità dei nostri produttori a ogni livello e la basilare esigenza dei consumator­i a essere compiutame­nte informati.

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