La contromossa cinese che «blocca» la soia Usa e affonda il Midwest
Le barriere di Pechino mettono a rischio 300 mila agricoltori
PECHINO I negoziatori americani venerdì hanno lasciato sul tavolo dei cinesi un documento in otto sezioni che chiede di tagliare il loro surplus commerciale di 200 miliardi di dollari entro il 2020. Washington punta il dito contro il furto di proprietà intellettuale, l’imposizione alle aziende Usa che vogliono stare sul mercato della Cina di cedere la loro alta tecnologia; prepara dazi. La risposta di Pechino è arrivata già, su un fronte non hi-tech ma nel campo agricolo: contro-dazi del 25% sui semi di soia americani. E non si tratta di una faccenda da poco: l’export di soia dagli Stati Uniti vale 12 miliardi di dollari all’anno. C’è di più: la rappresaglia cinese è già in atto, perché ad aprile in due settimane Pechino ha cancellato l’acquisto di 62 mila tonnellate di semi di soia già ordinati, secondo i dati dello US Department of Agricolture.
La Cina è il primo importatore mondiale di soia, che serve macinata per l’alimentazione degli animali da allevamento (ha un alto tasso di proteine) e dà base e sapore anche al liquore nazionale, il baijiu. Gli Stati Uniti sono il primo produttore e il 60% dei loro semi finiscono in Cina. La soia pesa anche alla Casa Bianca, vale milioni di voti: otto dei primi dieci Stati americani per produzione si sono schierati con Donald Trump alle elezioni presidenziali. Il blocco cinese potrebbe costare oltre 300 mila posti di lavoro nel Midwest e la rielezione a @realdonaldtrump, con buona pace per i suoi tweet su «America First».
Il colpo cinese quindi è stato ben studiato per fare male. «I nostri agricoltori non si aspettano di dover pagare il conto di una rappresaglia cinese contro gli Stati Uniti, non è giusto e non ha alcun senso economico», ha detto il senatore repubblicano dell’ohio Chuck Grassley, che pensa alle elezioni di midterm a novembre. E ha concluso la dichiarazione: «L’amministrazione Trump deve mitigare il danno che ha causato». La manovra cinese può cambiare la politica americana e anche il mercato internazionale: «Comperano ancora, naturalmente, ma non dagli Stati Uniti, si sono rivolti al Canada e soprattutto al Brasile», dice Soren Schroder, amministratore delegato di Bunge Ltd. multinazionale dell’agribusiness. Viene segnalato che il Brasile ha già aumentato la coltivazione di soia e l’argentina, terzo esportatore verso la Cina, potrebbe seguire. La volatilità sta già contagiando i prezzi dei prodotti agricoli, perché la Cina importa anche carne di maiale dagli Stati Uniti, mais e sorgo. Oltre ad alimenti di qualità. E siamo solo all’inizio: i dazi entreranno in vigore il 22 maggio, se la guerra commerciale non sarà disinnescata.
La reazione
«I nostri agricoltori non si aspettano di dover pagare il conto di una rappresaglia cinese»