Quella lezione di civiltà contro i soprusi
Ci sono voluti una disabile e un barista romeno per ricordarci quanto la vigliaccheria sia entrata nel nostro vivere «presunto» civile. C’è voluto il loro coraggio per reagire al sopruso e alla violenza di due esponenti del clan Di Silvio, imparentati con i Casamonica, che in un bar di Roma pretendevano di essere omaggiati, serviti subito. Episodio avvenuto nel giorno di Pasqua alla Romanina, ai confini sud orientali della Capitale, tra la Tuscolana e il Grande Raccordo anulare. La zona dove i Casamonica, con le famiglie Di Silvio, Di Guglielmo, Di Rocco, Spada, Spinelli, tutte strettamente legate tra loro, imperversano da mezzo secolo. La stessa dove nell’agosto 2015 il funerale del capostipite Vittorio Casamonica si trasformò in un triste
Prepotenza
I due deboli che hanno saputo dire di no davanti alla prepotenza
spettacolo di avvilente sfarzo mafioso con la carrozza trainata dai cavalli neri, il sottofondo musicale con le note del Padrino e i petali di rosa lanciati da un elicottero sulla folla chiamata a piangere il «re di Roma» come proclamava un grande stendardo affisso sulla facciata della chiesa di piazza Don Bosco. L’aspetto sconvolgente di questa vicenda è che di loro sappiamo tutto: quanti sono (tanti, alcune migliaia) cosa fanno (spaccio di droga, estorsione, usura) dove abitano (tranne periodici soggiorni in galera). Non serve invocare «punizioni esemplari» per i colpevoli. Sarebbe già tanto punirli. Quello che non sapevamo, arresi alla prepotenza dopo aver ceduto un pezzo di territorio della Capitale, è che qualcuno coltiva ancora una idea di giustizia. Lezione che ci arriva dai meno garantiti: disabili e romeni si dividono gli ultimi gradini della nostra sconnessa scala sociale. Emergono solo per le barzellette o le battute razziste. Il loro coraggio ci impone di difenderli come meritano, tornando a essere una comunità che ha un minimo di dignità.