La donna che ha reagito: «Calci e sputi in faccia Li ho rivisti per strada, tenevano gli occhi bassi»
«Se avessi paura di loro, non potrei più uscire di casa. E non posso lasciarli vincere». Fa un lungo respiro prima di pronunciare questa frase Laura, la donna che ha fronteggiato senza timore due esponenti del clan Di Silvio-casamonica. Si scusa per il pigiama che indossa, «sono settimane che sto a letto, ma il dolore sta passando», spiega la quarantaduenne minuta e combattiva che vive nel quartiere Romanina, il feudo dei boss nella periferia est della Capitale.
Il giorno di Pasqua era andata a prendere un caffè al vicino Roxy Bar di via Barzilai e si è ritrovata a dover difendere da sola la dignità di un’intera città. Laura non è il suo vero nome, la paura di ritorsioni esiste, conferma l’anziana mamma preoccupata per la figlia invalida civile. In quel reticolo di strade dove tutti si conoscono, del resto, le è già capitato di incontrare di nuovo per strada i suoi aggressori. «Mi sono detta vai avanti, coraggio, cammina. E infatti sono loro ad aver abbassato la testa e lo sguardo», racconta Laura che ricorda ogni dettaglio del pestaggio. «Volevano le sigarette e subito, passando davanti ad altri clienti, poi si sono girati verso di me dicendo ‘sti romeni de me...», ricostruisce Laura che, senza pensarci ha difeso i titolari del locale e ha risposto a tono cercando d’insegnare un po’ di educazione ai due.
«Erano visibilmente ubriachi, più grossi e più alti di me, anche se non ci vuole molto... — dice sorridendo —. Uno di loro mi ha strappato gli occhiali da sole e li ha lanciati dietro il bancone. Ma era solo l’inizio...». Il pestaggio è immortalato nei filmati delle telecamere del bar e impresso indelebile nella memoria di Laura. Mentre rivive la scena nella sua mente, le mani si muovono imitando i gesti violenti di cui è stata vittima. Calci potenti sull’addome, «stile kung-fu» li descrive, poi la presa al collo che le ha lasciato i lividi con il marchio delle dita. «“Non sai con chi stai parlando”, continuava a ripetermi il più basso, perché io non mostravo di avere paura, mi ha sputato in faccia più volte — ripercorre l’aggressione la donna, ignara di chi avesse davanti, ma certa che non avrebbe scalfito la sua resistenza —. Mi urlava che mi ammazzava e io gli ho risposto che poteva pure farlo, ma che poi in galera andava lui».
Minuti interminabili di violenza, lei presa persino a cinghiate e sbattuta a terra a più riprese nel bar: gli uomini presenti fermi, incollati alle slot. Nessuno a difenderla. Solo lei ha tentato di chiamare la polizia, per ritrovarsi il cellulare strappato di mano e ancora botte, minacce. «Marian il barista poi mi ha chiesto scusa perché non è intervenuto subito, ma non aveva capito chi ero, pensava che fossi insieme a quei due e che si trattasse di una lite tra di noi», ha poi ricostruito Laura che, dopo il fatto, è stata circondata dalla solidarietà del quartiere. La sua famiglia è originaria di Montegallo, piccolo comune delle Marche, distrutto dal terremoto del 2016, ma da quarant’anni abita alla Romanina, dove convivere con i Casamonica è una complessa routine. Mai avuto problemi simili con quelli che un tempo erano persino compagni di scuola, tengono un basso profilo di solito: «Ora forse andranno in carcere ma poi torneranno e io dovrò rivederli, quindi avere paura non è possibile» si dice Laura confortata anche dall’operato della polizia, «tutti gentili, mi hanno aiutata moltissimo».
Il tempo di guarire da un versamento pelvico e dai lividi ed è già tornata a trovare i suoi amici al bar. «Marian e Roxana hanno due bimbi piccoli e bellissimi, gli sono vicina e continuerò a sostenerli», insiste la piccola donna che non si è piegata all’arroganza del clan.
Se avessi paura di loro non uscirei più, non posso lasciarli vincere
Erano ubriachi, il più basso mi ripeteva: non sai con chi stai parlando