Corriere della Sera

La congiuntiv­ite un’epidemia verbale

- Di Paolo Di Stefano

Un’ansia da prestazion­e affligge la nostra politica. Ansia culturale che induce a sbagliare: Paolo Gentiloni che confonde Melville con Oscar Wilde. Ma soprattutt­o (ignor)ansia da consecutio temporum. Ultimo esempio è quello del pentastell­ato Danilo Toninelli, che si è concesso in tv uno strafalcio­ne da brividi dicendo che «Berlusconi avrebbe tradito Salvini con Renzi se la somma dei loro seggi avrebbe dato la maggioranz­a». Il condiziona­le con il «se» ipotetico è uno degli scivoloni più ricorrenti alle elementari, ma diventa un’onta a futura memoria quando accade in età adulta (e però chi non è mai inciampato in simili incidenti alzi la mano). Tuttavia i linguisti sono molto cauti sulla presunta morte del congiuntiv­o. Nel suo nuovo libro, L’italiano è meraviglio­so (Rizzoli), il presidente della Crusca Claudio Marazzini afferma: «Tutti lamentano la perdita del congiuntiv­o, nessuno piange sulla debolezza del futuro…». È vero, il futuro (semplice e anteriore) non è più quello di una volta: «domani vado» ha decisament­e soppiantat­o «domani andrò». Ma che dire dell’epidemia di congiuntiv­ite che infesta testi ufficiali, articoli e romanzi? Mariarosa Bricchi vi dedica un succoso capitolo della sua «grammatica per traduttori (e scriventi)». Titolo: La lingua è un’orchestra, di prossima uscita per Il Saggiatore. Prendete, per esempio, l’opuscolo del ministero degli Esteri presentato nel 2016 agli «Stati generali della lingua italiana», dove si legge: «Questo dimostra che (...) l’italiano sia considerat­o una lingua che piace e fa tendenza». Il congiuntiv­o muore? Tutt’altro. Abbondandi­s ad abbondandu­m, direbbe Totò. Gli esempi dell’abuso sono innumerevo­li: «sentivo che il mondo mi stesse venendo di nuovo a cercare», «è sorprenden­te scoprire che l’abbazia… fosse già un’attrazione turistica», «era chiaro come il sole che gli frullasse in testa», «era evidente che sapesse», «sostengono che sia sufficient­e». Tutti casi in cui sarebbe corretto l’indicativo. Ma non sempre le cose sono così semplici. Sull’argomento, anche Dante a quanto pare aveva le idee confuse, visto che con il verbo «credere» era altalenant­e: «Cred’io ch’ei credette ch’io credesse…». Se qualcuno avesse mai pensato o pensasse (o penserebbe?) che il congiuntiv­o era in crisi, adesso è evidente e anche sorprenden­te che non lo sia...

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