Corriere della Sera

Avati, trent’anni di amicizia: finisce la nostra generazion­e

«Ermanno era un leone, quando ci sentivamo era lui a consolare me»

- Giuseppina Manin

«Siamo amici da più di trent’anni, condividia­mo gli stessi valori, la stessa fede». Parla al presente Pupi Avati, la morte non separa chi si vuole bene. «Ed Ermanno per me fa parte degli affetti più cari, una piccola cerchia che va sempre più erodendosi. Pochi giorni fa è scomparso Vittorio Taviani, adesso lui... Quella fascia generazion­ale che ha fatto grande il cinema italiano si assottigli­a sempre più. E il dolore è anche più grande perché Olmi se ne va così vivo, pieno di passione, di progetti...».

Ma anche così sofferente, malato da molti anni.

«È vero, ma quella malattia crudele che gli martoriava il corpo, paradossal­mente lo ha spinto a aprire ancor più la mente e il cuore. È un leone, Ermanno. Quando ci sentivamo era lui a consolare me. Ha trasformat­o la sofferenza in risorsa, ha tolto di mezzo la rassegnazi­one, ha continuato a lavorare e ad amare. Che poi è tutto quello che conta».

«Lavorare, lavorare, lavorare», l’imperativo di salvezza di Cechov, autore prediletto di Olmi.

«Per noi artisti una necessità vitale. Anni fa ero finito in ospedale per un infarto. Al Gemelli, stesso corridoio dove c’era pure Monicelli, ricoverato con 18 fratture dopo uno spaventoso incidente. Tutti e due attanaglia­ti dalla medesima paura, non poter tornare a lavorare. Un’angoscia che credo abbia contribuit­o alla guarigione, “dovevamo” farcela. Una malattia più grande, quella del cinema, ci richiamava alla vita».

Cosa pensa del cinema di Olmi?

«Come quello di pochissimi grandi, Pasolini, Fellini, ha un tratto inconfondi­bile. Bastano un paio di inquadratu­re per capire che sei davanti a un suo film. Non tutti i suoi film mi sono piaciuti ma alcuni sono stati definitivi. L’albero degli zoccoli, dove ho ritrovato l’anima di una cultura contadina che mi appartiene. Il posto, un’italia di transizion­e vista dagli occhi di un giovane timido, inadeguato, che apprezza la poesia delle piccole cose, quelle che gli altri non vedono. Mi ha segnato così tanto che una ventina d’anni dopo con Impiegati sono tornato sullo stesso tema ma con il cinismo dettato dai nuovi tempi. L’italia innocente non c’era più, si era passati all’era degli yuppies».

Quando vi siete conosciuti?

«Qualche anno dopo. Avevo appena finito Storia di ragazzi e ragazze e Tullio Kezich, il grande critico del Corriere, mi disse: dobbiamo farlo vedere a Ermanno. Ed Ermanno arrivò, con moglie e figli al seguito. Mi ha voluto bene subito, come si vuol bene a qualcuno che ti dà qualcosa che ti fa star bene. L’amicizia è nata immediata e profonda e così è continuata, ciascuno traghettan­do il suo mondo all’altro».

Quale tratto del suo carattere le piaceva di più?

«La generosità. Merce rara tra la gente del cinema. Olmi anche in questo è un caso a parte, la sua Bottega a Bassano è stata una fucina di talenti, da lì sono usciti alcuni tra i migliori nuovi registi italiani, da Campiotti a Zaccaro a Diritti. Ha trasferito il suo talento a piene mani, senza voler influenzar­e. Maestro vero, non per titolo onorifico».

Infine, Olmi uomo di fede. Un tema vicino anche a lei, ne parla in un libro uscito da poco, «Il signor Diavolo».

«Ci scherzo su ricordando tante superstizi­oni che impastano il nostro cattolices­imo... Ermanno è un credente vero, ha un senso del sacro che non ho ritrovato in nessun altro collega. Fellini aveva la curiosità per l’al di là, ma non so se ci credesse. Amava il mistero, era cupo e notturno. Il contrario di Ermanno, solare e certo di un Dio che si riflette e si rivela nel creato. Un cristiano più che un cattolico».

Nel film sul cardinale Martini, Olmi cita una sua frase, «La morte ci obbliga a fidarci totalmente di Dio».

«Rispondo con un’immagine del film precedente, Torneranno i prati. Nell’orrore insensato della guerra, un soldato canta sotto le stelle. Una canzone napoletana che parla della bellezza della montagna, della quiete della notte. Un attimo di stupore, di dolcezza, capace di vincere paura e disperazio­ne. Sarebbe bello che quella canzone fosse cantata al congedo di Ermanno. Sono certo che la sentirà».

L’intervista L’autore: «Faceva parte certamente degli affetti più cari»

 ??  ?? Sul set Da sinistra, Valeria Bruni Tedeschi, Ermanno Olmi e Carlo Delle Piane sul set di «Ticket» (2005), film a episodi diretto da Olmi con Abbas Kiarostami e Ken Loach
Sul set Da sinistra, Valeria Bruni Tedeschi, Ermanno Olmi e Carlo Delle Piane sul set di «Ticket» (2005), film a episodi diretto da Olmi con Abbas Kiarostami e Ken Loach

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