L’architetto delle smart city: nel suo passato c’è il futuro
Il passato e il futuro. La nostalgia e la speranza. La civiltà della terra e l’umanità dei luoghi. Ermanno Olmi trasmetteva con le immagini e le parole i valori senza tempo di un mondo che per lui era vita. «Parlando di ieri intercettava il domani», dice Carlo Ratti, docente al Mit di Boston.
Nei suoi film e nei suoi libri c’è un’idea rivoluzionaria che coincide con quella dell’architetto delle smart city: portare il paese in città, dare un’anima ai quartieri, creare intercapedini in grado di mettere in comunicazione esperienze e culture diverse. Voleva gli orti in città, «contro l’alienazione della metropoli», concorda Ratti, perché anche negli orti urbani c’è un messaggio civile, quello della Terra che non tradisce mai l’uomo e quello del ringraziamento per ciò che la natura ci offre. In un Paese avaro di esempi Ermanno Olmi ne dava tanti: sui principi, sulla coerenza, sull’onesta. Diceva che i posteri «non ci perdoneranno di non aver fatto quello che potevamo fare». E che la situazione del mondo «non ammette pallidi teoremi o documenti di facciata». Anche per questo aveva accettato il ruolo di coscienza critica di Expo: leale sempre con il timoniere di quei giorni, l’attuale sindaco di Milano Beppe Sala, ma deciso a far passare il suo messaggio, contro le diseguaglianze sociali e per la corretta relazione tra chi produce e chi consuma. «Un giorno — ricorda Ratti, incaricato del progetto del Future Food Discrict — Olmi si presentò con una delle sue magie teatrali. Invece di prendere la parola, mise sul tavolo davanti a noi un frutto. Ma non un frutto qualunque. Era una mela piccola, piccolissima, tutta bitorzoluta. Ecco, dobbiamo fare un’expo per questa melina, disse…».
In quella piccola mela, c’erano i temi che più gli stavano a cuore: il rispetto dell’uomo per la natura, la civiltà contadina, l’attenzione per gli esclusi, per gli esseri umani, gli animali e le cose apparentemente senza valore. “Quel giorno mi chiese a piu riprese dettagli sul progetto a cui stavamo lavorando. Gli piaceva l’idea di poter raccontare le storie del prodotti, un po’ come quando Calvino fa provare a Marcovaldo immensa gioia e stupore di fronte alla cornucopia di formaggi esposti intorno a lui in una fromagerie parigina...».
Il futuro letto con la memoria è un messaggio potente, destinato ai giovani. La sua città, la città ideale di Olmi — spiega Ratti — è quella dove i quartieri sono quasi autosufficienti, isole familiari dentro la metropoli. La sua memoria affettiva di Milano non è solo nostalgia ma un suggerimento valido per la costruzione del nostro domani». Faceva fatica a riconoscere, negli ultimi tempi, Milano, la sua amata Milano. «È sempre stata una città sorprendente, che sa accogliere senza discriminazioni chiunque le chieda asilo», aveva detto in un’intervista al Corriere della Sera. Vedeva i rischi di una crescita con troppe diseguaglianze per i quartieri marginali. «Come Pasolini, ha posto una grande questione sociale — è la sintesi di Ratti — e valgono per lui le parole finali di Grand Hotel Budapest: penso che il suo mondo fosse svanito molto prima che lui vi entrasse. Ma devo dire che lui sostenne l’illusione con grazia magistrale». Ecco, Olmi ci ha lasciato questa grazia magistrale.