Competizione snaturata dalle scelte di Frémaux
Davvero sarà l’anno del nuovo corso? Il direttore Thierry Frémaux ne è sicuro, anche se qualche dubbio non riesce a nasconderlo. Imporre che la serata di gala, quella alla presenza del regista e delle star, sia una prima assoluta (quindi niente anteprime per la stampa o il mercato) rischia di snaturare la natura stessa del festival, da gara per l’eccellenza artistica a trampolino per l’uscita nelle sale. Il festival lo farebbe per difendere il «sistema cinema» che ai francesi sta molto a cuore (e a ragione, visti gli ottimi risultati al botteghino, leader in Europa) e che li ha spinti a un braccio di ferro con Netflix — solo i film che escono in sala possono partecipare al concorso — finito con due sconfitti: la società americana che non ha nessun titolo a Cannes ma anche il festival, che sperava di selezionare il nuovo film di Alfonso Cuarón e soprattutto di presentare il film inedito di Orson Welles, The Other Side of the Wind, finalmente tornato a vivere grazie ai soldi del marchio televisivo. Per non parlare della grande lontananza tra le date del festival e il periodo della corsa alle nomination per l’oscar, che ha spinto i produttori americani del regista francese Jacques Audiard a negare la proiezione del suo western The Sisters Brothers (e che speriamo invece di vedere a Venezia, ormai considerata il vero trampolino verso la statuetta dell’academy). Come dire che le leggi del mercato cinematografico e l’evoluzione dei suoi mezzi di produzione hanno innescato cambiamenti che Cannes fatica a governare (mentre gli altri festival si accontentano di assecondare) e che rischiano di far passare in secondo piano la qualità dei film e della selezione. Che invece sulla carta sembra interessante, con nomi non scontati (il russo Serebrennikov, il polacco Pawlikowski, l’americano Mitchell, il francese Brisé) qualche maestro capace ancora di sorprendere (Spike Lee, Jia Zhangke, Nuri Bilge Ceylan, Jafar Panahi, Lee Chang-dong, l’imprevedibile Jean-luc Godard) e due italiani che non hanno mai deluso, Matteo Garrone con Dogman e Alice Rohrwacher con
Felice. Lazzaro