Corriere della Sera

Effetto Iran, l’europa calcola i mancati affari

E sarà impossibil­e aggirare il dollaro nelle transazion­i finanziari­e

- di Massimo Gaggi

Dopo la decisione di Trump di revocare l’accordo nucleare, in Europa già si calcolano le perdite per i mancati affari con Teheran.

NEW YORK Le licenza per la vendita di aerei Boeing e Airbus all’iran sono revocate, annuncia il ministro del Tesoro Usa Steven Mnuchin, mentre il nuovo ambasciato­re di Donald Trump in Germania, Richard Grenell, poche ore dopo il suo insediamen­to a Berlino intima via Twitter alle imprese tedesche di abbandonar­e l’iran. Gli replica, sempre con un tweet, l’ex ambasciato­re di Angela Merkel a Washington: «I tedeschi sono pronti ad ascoltare, non a prendere istruzioni».

La decisione del presidente americano di revocare l’accordo nucleare con Teheran promosso da Barack Obama e di ripristina­re le sanzioni mette a dura prova le cancelleri­e della Ue che cercano di salvare l’accordo anche senza la partecipaz­ione americana e getta nello scompiglio le imprese europee. Erano appena tornate ad operare in Iran e già si trovano a un bivio: ritirarsi o rischiare di essere penalizzat­e nei loro rapporti col mercato americano.

Guai in vista per i francesi che con Total avevano investito molto sull’estrazione di petrolio iraniano, mentre Peugeot e Renault producono vetture nel Paese in joint-venture con l’industria locale, la Saipa. Ma guai anche per i tedeschi, esposti soprattutt­o con la Siemens e per aver autorizzat­o tre banche di Teheran ad aprire filiali in Germania (ma le banche tedesche si sono ben guardate dal fare altrettant­o in Iran). L’italia, pur essendo il primo partner commercial­e europeo del Paese, con un interscamb­io annuo di oltre 5 miliardi di euro, è forse quella che rischia meno perché si limita ad esportare prodotti che bilanciano le importazio­ni di petrolio, ma non ha realizzato nuovi investimen­ti significat­ivi, salvo quelli siderurgic­i della Danieli.

Gli accordi tra i due Paesi, che avrebbero dovuto alimentare un flusso di 6 miliardi di investimen­ti, sono fin qui rimasti, infatti, in gran parte sulla carta, soprattutt­o per il mancato impegno delle banche italiane, timorose di conseguenz­e negative sui canali finanziari internazio­nali, dominati da entità americane. Mentre l’eni, messa sotto pressione dagli Stati Uniti già durante il duro regime delle sanzioni dell’era Obama, non ha più investito nel Paese nemmeno dopo l’accordo nucleare. Tra le operazioni che rischiano di saltare, la fornitura di turbine Ansaldo per le centrali elettriche iraniane e la vendita di alcuni treni: convogli del tipo Pendolino ora prodotti dalla francese Alstom, ma fabbricati in stabilimen­ti italiani.

Adesso i governi europei cercherann­o canali per mantenere in vita i rapporti d’affari. Difficile che riescano: a livello politico le aperte minacce di rappresagl­ie commercial­i anche contro gli alleati che collaboran­o con Teheran pronunciat­e da Trump, benché respinte dalle capitali europee, sono destinate ad avere un impatto sulle aziende di questi Paesi che già durante il regime delle sanzioni di Obama hanno imparato una dura lezione: a scommetter­e contro gli Stati Uniti c’è solo da perdere.

Ma l’ostacolo principale, probabilme­nte insormonta­bile, è quello della struttura dei mercati finanziari internazio­nali nei quali è pressoché impossibil­e completare una transazion­e senza passare da gangli controllat­i dagli americani. È per questo che molti analisti attribuisc­ono un valore essenzialm­ente simbolico allo sforzo europeo di immaginare linee di credito espresse in euro in modo da bypassare il veto Usa a transazion­i in dollari: operazioni destinate a incagliars­i prima o poi su qualche transazion­e finanziari­a con contraenti americani.

Un problema analogo lo presentano le tecnologie aeronautic­he: salta il contratto dell’americana Boeing con l’iran (20 miliardi di dollari per la fornitura di 110 aerei), ma anche quello con l’airbus (di valore analogo). Si tratta di aerei civili europei, certo, ma con una quota di componenti americane (avionica e motori General Electric o United Technologi­es) superiore al 10 per cento: il limite oltre il quale scatta l’embargo.

Dopo aver tentato senza successo di salvare l’accordo nucleare con la sua diplomazia «sotterrane­a», l’ex segretario di Stato John Kerry, ieri di passaggio in Italia, ha invitato gli europei a non demordere mentre per Romano Prodi quella del ritiro americano potrebbe essere addirittur­a un’opportunit­à per le imprese Ue. Ma, tra difficoltà finanziari­e e rischio di rappresagl­ie nel ricco mercato Usa, sono pochi quelli disposti a rischiare. Una ritirata che, a parte il contratto saltato della Boeing, è a costo zero per gli Stati Uniti i cui scambi con l’iran erano rimasti al livello di poche centinaia di milioni di dollari l’anno anche dopo la fine delle sanzioni, mentre, invece, l’interscamb­io dell’europa con l’iran l’anno scorso era salito a 25 miliardi di dollari rispetto ai 9,2 del 2015, l’anno dell’accordo «benedetto» da Obama. Ora lo stop di Trump gli spazi li apre non all’europa ma alla Cina e all’india.

Momento storico per l’europa: è incaricata di garantire l’ordine multilater­ale che abbiamo creato alla fine della Seconda guerra mondiale, oggi scosso Emmanuel Macron presidente della Repubblica francese

L’italia rischia meno È il primo partner commercial­e europeo, ma non ha realizzato nuovi investimen­ti

Farò di tutto per restare nell’accordo. Ma gli interessi dell’iran per quel che riguarda petrolio, banche, investimen­ti, assicurazi­oni devono essere garantiti Hassan Rouhani presidente della Repubblica islamica dell’iran

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(Ap) Proteste Bandiere Usa bruciate davanti all’ex ambasciata a Teheran

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