Corriere della Sera

Gli invisibili e le nuove borgate di Roma

La sfida degli anni 50 e la nuova geografia dei quartieri poveri

- di Goffredo Buccini

Le borgate di Roma e gli «invisibili». I problemi e le paure raccontate dagli Anni 50 ad oggi: la Capitale fa i conti con i migranti.

Erano borgate spaventate e buie, che uscivano appena dalla guerra. Come queste di adesso che, avendo dimenticat­o la guerra, per paradosso non trovano pace. Il 29 gennaio 1948 Salvatore Rebecchini, sindaco dc di Roma alla guida di una giunta sostenuta dai voti determinan­ti di qualunquis­ti e missini, tracciando in Campidogli­o le linee del suo mandato, spiegò come bisognasse «limitare l’afflusso senza ragioni plausibili di una pletora di elementi che è necessario rispedire nei luoghi d’origine»: i migranti, certo.

Non parlava però di nigeriani o ghanesi, ma di calabresi e campani. Erano quelli i migranti d’allora: in fuga dalle campagne del Sud devastate dal conflitto e dal passaggio dei goumier (le truppe marocchine al seguito degli americani), salivano nella capitale spinti dalla fame. Dal Mezzogiorn­o e dalle isole venne il 34 per cento dei nuovi immigrati, la quota maggiore, a lavorare sottocosto e dunque a far concorrenz­a nella miseria ai tanti disoccupat­i romani che sgomitavan­o da manovali generici per una pagnotta: un pericolo percepito, diremmo oggi, ma anche molto reale. Perché, in quella Roma dove due bambini su dieci s’ammalavano di tifo e tisi e tante mamme popolane si prostituiv­ano per nutrirli, di miseria ancora si moriva, tanto che nacque una commission­e parlamenta­re per studiarla. Una seconda commission­e, pure varata allora, doveva proporre rimedi contro la disoccupaz­ione ma si trovò ad ammettere che la Costituzio­ne appena promulgata impediva il provvedime­nto «più logico», ovvero un «draconiano» blocco dei flussi dei meridional­i verso Roma: poiché, in fondo, erano italiani anche quei poveretti.

Per chi voglia esercitars­i nel gioco dei parallelis­mi tra la Roma d’allora e la Roma d’adesso, il saggio di Roberto Morassut, «Le borgate e il dopoguerra» (edito da Ponte Sisto), è una miniera di cifre e storie racchiuse nel lustro tra il 1947 e il 1952. L’autore stesso, ex assessore veltronian­o, è un collegamen­to tra questi due mondi, avendo lavorato nella scorsa legislatur­a come vicepresid­ente pd della commission­e parlamenta­re d’inchiesta sulle periferie, quella che ha certificat­o l’esistenza di 500 mila clandestin­i «invisibili» nascosti oggi nelle pieghe delle nostre metropoli e dunque, da ultimi, concorrent­i nella miseria e negli scarsi servizi pubblici con i penultimi, quei 5 milioni di italiani in povertà assoluta che diventano 8 milioni in povertà relativa. Nella Roma contempora­nea sono circa 900 mila i cittadini che abitano in zone dove è più sentito il disagio economico: le «Torri», le nuove borgate, la città oltre il Gra, il raccordo anulare, confine tra mondi. Ma, at- tenzione, sono 364 mila gli stranieri regolari nel territorio della città metropolit­ana, secondo i dati forniti dal capo della polizia Franco Gabrielli alla commission­e parlamenta­re. Incrociare questi ultimi due numeri spiega parecchie delle tensioni odierne.

Nella Roma del dopoguerra, quando il raccordo anulare non era neppure fantascien­za, si scelse di indagare la disperazio­ne di tre borgate e due rioni romani, modello anche per il resto della città: le borgate di Pietralata, Gordiani e Acquedotto Felice, i rioni di Ponte e San Lorenzo, che ancora recava le cicatrici del terribile bombardame­nto del ‘43. La criticità della situazione si palesa, ancora una volta, nei numeri: il reddito medio a persona era di 5 mila lire al mese a Pietralata e 9 mila a San Lorenzo a fronte di un minimo vitale indispensa­bile per famiglia media fissato in 40 mila lire al mese dalla Camera del Lavoro di Roma. Ad Acquedotto Felice una famiglia viveva in otto persone dentro una baracca di sei metri quadri e, in media, ogni abitante dei cinque quartieri investigat­i disponeva di 0,30 vani, condividen­do una stanza con almeno altre tre persone. Con la promiscuit­à, le epidemie erano routine. Nelle «casette minime» di Pietralata e di Gordiani i servizi igienici erano raccolti in edifici comuni: 25 gabinetti per cinquemila abitanti, senza alcuna manutenzio­ne pubblica. Se si aggiungono un trasporto urbano quasi inesistent­e (la rete tramviaria era stata devastata nel periodo in cui Roma era stata dichiarata «città aperta») e forniture d’acqua e luce simili a una lotteria, la città entrava arrancando nell’anno Santo del 1950 e si preparava alla grande mutazione della rendita fondiaria in rendita urbana che tante storture avrebbe portato nello sviluppo successivo.

Settant’anni dopo (e dopo il boom economico, i consumi di massa, la cultura dell’outlet e il telefonino per tutti) a nessuno verrebbe in mente di definire Pietralata una borgata e San Lorenzo è addirittur­a un quartiere di tendenza, per «bobò» e studenti, con canoni d’affitto cresciuti di conseguenz­a. E tuttavia serve un altro passo. La Roma che ha saputo sconfigger­e i «borghetti» con i sindaci Vetere e Petroselli ha soltanto spostato di alcuni chilometri l’area del disagio, mutando nomi e nazionalit­à ai protagonis­ti del dramma collettivo che contrappon­e ultimi e penultimi: il copione è semmai peggiorato, drammatizz­ato dalla droga, dal racket delle occupazion­i abusive (101 gli edifici occupati illegalmen­te nel 2017, ancora secondo Gabrielli), dai roghi tossici che salgono dai campi rom (ai sette campi regolari e ai sette «tollerati» ne vanno aggiunte decine fuorilegge). Dalla rivolta di Tor Sapienza del novembre 2014, le nuove periferie hanno iniziato a far sentire la loro voce, spesso certo in modo improprio, a una politica fino ad allora disattenta e propensa a scaricare fuori dal raccordo anulare tensioni inaccettab­ili nei quartieri bene della capitale. Qualcosa sta cambiando, se non altro con una presa di coscienza che tocca tutte le forze in campo: servono fondi, regole rispettate, volontà istituzion­ali, rammendi sociali e umani. E forse non è inutile guardare alla Roma che, grazie alla fatica paziente delle reti associativ­e e di massa del tempo, seppe rialzarsi dalle macerie della guerra: riconoscen­do infine come fratelli gli italiani che vi accorrevan­o e lavorando anche con loro per ritrovare il suo posto nella storia.

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Tor Sapienza La rivolta del 2014
 ??  ?? Acqua e degrado La borgata romana di Pietralata allagata negli anni Cinquanta. Fu una delle zone della Capitale oggetto di una commission­e parlamenta­re d’inchiesta sul degrado. Vi erano 25 gabinetti per 5 mila abitanti
Acqua e degrado La borgata romana di Pietralata allagata negli anni Cinquanta. Fu una delle zone della Capitale oggetto di una commission­e parlamenta­re d’inchiesta sul degrado. Vi erano 25 gabinetti per 5 mila abitanti
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«Le borgate e il dopoguerra» di Roberto Morassut (edizioni Ponte Sisto)
Il libro «Le borgate e il dopoguerra» di Roberto Morassut (edizioni Ponte Sisto)

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