«Papà alla deriva per 74 giorni Cercate ancora quei naufraghi»
La figlia di Fogar e i due velisti dispersi: «Siamo tutti su quella zattera»
Francesca Fogar, figlia del celebre navigatore ed esploratore, ha lanciato un appello affinché non vengano sospese le ricerche dei due velisti, Aldo Revello e Antonio Voinea, dispersi da 8 giorni nell’atlantico. Ambrogio Fogar e il giornalista Mauro Mancini furono salvati dopo ben 74 giorni, anche se purtroppo Mancini si spense poco dopo. La moglie di Aldo Revello, Rosa Cilano, ha ringraziato commossa Francesca per l’appello.
Francesca Fogar, perché è doveroso cercarli ancora?
«Nel ‘78, quando mio padre naufragò al largo della costa argentina, vigeva la regola dei 30 giorni: le ricerche dei dispersi dovevano durare almeno un mese. Si faccia così».
Ora invece la nave Alpino sta per ripartire per il Canada e la marina portoghese non vuole continuare a lungo le ricerche: è accettabile?
«No, non lo è, l’avanzamento tecnologico dei mezzi rispetto ai tempi di mio padre non deve far presumere a priori che siano morti. L’errore è pensare che le tecnologie siano infallibili. Il mare non segue il tempo delle apparecchiature. Per questo mi sono unita all’appello di Rosa».
Quello di suo padre non è stato il record di resistenza: nel 2014 José Salvador Alvarenga resistette 438 giorni...
«Sì, le capacità di sopravvivenza umana sono incredibili. Mio padre e Mauro avevano solo un chilo di pancetta, uno di zucchero e un po’ d’acqua, ma sopravvissero mangiando cormorani e telline. Quando li trovarono avevano perso ognuno 40 chili».
Lei era piccola, ma come ricorda suo padre?
«Per quanto fossi una bimba, mi ricordo la sua magrezza spettrale, lo sguardo di chi ha visto la morte in faccia».
Cosa lo sorresse?
«Sulla zattera ha fatto appello a tante cose: la sua attitudine positiva verso la vita anche nelle più grandi sfortune; ma anche la fede lo ha aiutato molto. Con Mauro, che era ateo, parlarono a lungo di spiritualità e alla fine pregarono molto insieme».
Cosa le ha raccontato suo padre di quei giorni?
«Che lui e Mauro ogni giorno facevano il gioco dei sapori, si concedevano cioè il lusso di immaginare i gusti della loro vita familiare: anche un semplice pane e salame per Mancini che era toscano, mentre per mio padre erano i sapori della Lombardia. Il 2 aprile ’78 un mercantile greco li vide. La beffa fu che Mauro morì due giorni dopo il salvataggio».
Suo padre però fu oggetto di violenti attacchi per aver portato con sé un «cittadino»...
«Nella lettera di addio alla moglie, in cui raccontava del naufragio, Mancini fece chiarezza su tutte le ombre che si abbatteranno poi su mio padre, da lui definito “un uomo coraggioso, equilibrato, buono”. Mauro lo scagionò, ma mio padre non si è mai perdonato di avergli detto “sì, vieni con me”. E ha sofferto molto per le accuse».
Cosa la rende ottimista sul destino dei due dispersi?
«Il fatto che l’epirb, il sistema di allarme, sia stato azionato manualmente; e il fatto che la zattera si autogonfia. Ma si sposta velocemente. Mio padre e Mauro furono ripescati a 800 miglia di distanza dal luogo del naufragio. Per questo bisogna continuare a cercarli».
Cosa vuol dire a Rosa?
«Siamo tutti su una zattera. Per questo non possiamo mai essere abbandonati».