LA VIA CRUCIS DI INCORPORA: VINCONO I VINTI
Elzeviro Riscoperta di un artista
Nel 1861, Franz Liszt (1811-1886) è a Roma per sposare la principessa Caroline von Sayn-wittgenstein, ma il Vaticano non concede alla donna l’annullamento del precedente matrimonio. Il musicista ha una crisi religiosa e inizia a comporre musica sacra (il Cantico del sol di san Francesco d’assisi è dell’anno dopo). Nel 1865 Franz prende gli ordini minori (l’«abbé Liszt», lo chiamano gli amici, anche se impropriamente). Trascorsi un paio di lustri, sempre mentre si trova a Roma, Liszt comincia a lavorare ad una Via Crucis che completerà a Budapest. Coro, solisti (mezzosoprano, baritono), organo o pianoforte evocano il dramma con tinte fortemente espressionistiche.
Le stesse che, adesso, si ritrovano nei personaggi, a figura intera, della Via della Passione di Salvatore Incorpora (1920-2000): scolpiti e dipinti sui 14 grandi pannelli rettangolari (120 x 280), datati 1973, riscoperti nella basilica Maria santissima del Rosario a Fiumefreddo di Sicilia. Anche qui, la resa dei protagonisti — Giuda, Gesù, Pilato, le donne, il soldato ed altri — ha un’impronta drammaticamente espressionistica (potrebbe essere altrimenti?). I versi di Egidio Incorpora accompagnano, in catalogo, le varie tappe o «stazioni» della Via Crucis (Giuda: «Ogni giorno rinneghiamo qualcuno,/ come se nulla fosse successo. / E non sentiamo il canto del gallo/ […] Anche mio fratello è stato rinnegato stamattina,/ barattato per una manciata di stelle»). Pur nella loro drammaticità, alcuni personaggi hanno qualcosa di grottesco, di caricaturale («Un soggetto religioso può ancora provocare, proprio per la sua peculiarità, un rinnovamento del linguaggio, il superamento di una impasse espressiva: la sperimentazione di Incorpora è sicuramente fra i casi odierni, non numerosi, non irrilevanti, che stanno a provarlo», scrive Sergio Cristaldi).
Sono i vinti della Storia, che, nel caso dell’artista calabro-siciliano (Incorpora è nato a Gioiosa Jonica — madre e nonno scultori — anche se poi ha vissuto nell’isola mediterranea, dove ha insegnato), inglobano i «vinti» di Giovanni Verga, cui lo scultore s’è ispirato nelle «trascrizioni» di buona parte dei personaggi dello scrittore verista: N’toni, Cinghialetta, Rocco Spatu, il figlio della Locca, de I Malavoglia, che «filarono quatti quatti lungo i muri della viottola e come furono sulla sciara si cavarono le scarpe in mano» o di Bastianazzo e sua figlia Mena; o di altri ancora, strappati dalle pagine delle novelle Rosso Malpelo (l’operaio della cava, così chiamato per i capelli rossi, tanto da avere persino dimenticato il nome di battesimo), Jeli il pastore (il tredicenne guardiano dei cavalli), Cavalleria rusticana o dal romanzo Mastro don Gesualdo.
Protagonisti verghiani, questi, che si aggirano nelle sale del Museo di Linguaglossa dedicato a Incorpora e a Francesco Messina (cui la piccola cittadina siciliana ha dato i natali). Il santuario dei beati Antonino e Vito di Linguaglossa — dove secoli addietro c’erano ben diciotto chiese — conserva una seconda Via Crucis di Incorpora, sempre 14 stazioni, in terracotta cromata, del 1993, dove permane l’espressione scultorea e pittorica istintiva del racconto evangelico.
Il «sacro fervore» di Liszt assomma il canto gregoriano, alcune polifonie rinascimentali, la corale protestante luterana, echi di Bach e una certa «aria di famiglia», captata dal genero Richard Wagner. Sul piano artistico, Incorpora guarda all’espressionismo. Tedesco o francese? Italiano: il proprio.