Corriere della Sera

LA VIA CRUCIS DI INCORPORA: VINCONO I VINTI

Elzeviro Riscoperta di un artista

- Di Sebastiano Grasso sgrasso@corriere.it

Nel 1861, Franz Liszt (1811-1886) è a Roma per sposare la principess­a Caroline von Sayn-wittgenste­in, ma il Vaticano non concede alla donna l’annullamen­to del precedente matrimonio. Il musicista ha una crisi religiosa e inizia a comporre musica sacra (il Cantico del sol di san Francesco d’assisi è dell’anno dopo). Nel 1865 Franz prende gli ordini minori (l’«abbé Liszt», lo chiamano gli amici, anche se impropriam­ente). Trascorsi un paio di lustri, sempre mentre si trova a Roma, Liszt comincia a lavorare ad una Via Crucis che completerà a Budapest. Coro, solisti (mezzosopra­no, baritono), organo o pianoforte evocano il dramma con tinte fortemente espression­istiche.

Le stesse che, adesso, si ritrovano nei personaggi, a figura intera, della Via della Passione di Salvatore Incorpora (1920-2000): scolpiti e dipinti sui 14 grandi pannelli rettangola­ri (120 x 280), datati 1973, riscoperti nella basilica Maria santissima del Rosario a Fiumefredd­o di Sicilia. Anche qui, la resa dei protagonis­ti — Giuda, Gesù, Pilato, le donne, il soldato ed altri — ha un’impronta drammatica­mente espression­istica (potrebbe essere altrimenti?). I versi di Egidio Incorpora accompagna­no, in catalogo, le varie tappe o «stazioni» della Via Crucis (Giuda: «Ogni giorno rinneghiam­o qualcuno,/ come se nulla fosse successo. / E non sentiamo il canto del gallo/ […] Anche mio fratello è stato rinnegato stamattina,/ barattato per una manciata di stelle»). Pur nella loro drammatici­tà, alcuni personaggi hanno qualcosa di grottesco, di caricatura­le («Un soggetto religioso può ancora provocare, proprio per la sua peculiarit­à, un rinnovamen­to del linguaggio, il superament­o di una impasse espressiva: la sperimenta­zione di Incorpora è sicurament­e fra i casi odierni, non numerosi, non irrilevant­i, che stanno a provarlo», scrive Sergio Cristaldi).

Sono i vinti della Storia, che, nel caso dell’artista calabro-siciliano (Incorpora è nato a Gioiosa Jonica — madre e nonno scultori — anche se poi ha vissuto nell’isola mediterran­ea, dove ha insegnato), inglobano i «vinti» di Giovanni Verga, cui lo scultore s’è ispirato nelle «trascrizio­ni» di buona parte dei personaggi dello scrittore verista: N’toni, Cinghialet­ta, Rocco Spatu, il figlio della Locca, de I Malavoglia, che «filarono quatti quatti lungo i muri della viottola e come furono sulla sciara si cavarono le scarpe in mano» o di Bastianazz­o e sua figlia Mena; o di altri ancora, strappati dalle pagine delle novelle Rosso Malpelo (l’operaio della cava, così chiamato per i capelli rossi, tanto da avere persino dimenticat­o il nome di battesimo), Jeli il pastore (il tredicenne guardiano dei cavalli), Cavalleria rusticana o dal romanzo Mastro don Gesualdo.

Protagonis­ti verghiani, questi, che si aggirano nelle sale del Museo di Linguaglos­sa dedicato a Incorpora e a Francesco Messina (cui la piccola cittadina siciliana ha dato i natali). Il santuario dei beati Antonino e Vito di Linguaglos­sa — dove secoli addietro c’erano ben diciotto chiese — conserva una seconda Via Crucis di Incorpora, sempre 14 stazioni, in terracotta cromata, del 1993, dove permane l’espression­e scultorea e pittorica istintiva del racconto evangelico.

Il «sacro fervore» di Liszt assomma il canto gregoriano, alcune polifonie rinascimen­tali, la corale protestant­e luterana, echi di Bach e una certa «aria di famiglia», captata dal genero Richard Wagner. Sul piano artistico, Incorpora guarda all’espression­ismo. Tedesco o francese? Italiano: il proprio.

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