Sull’etna vince la tattica A Yates la maglia rosa
Tappa spettacolare e frenetica nelle sue fughe, si muove la classifica, ma la strada è ancora lunga Tra tattiche discutibili e campioni col freno a mano il vulcano premia Chaves e dà la maglia a Yates Aru solo e poco brillante ma è lì, Froome misterioso
Un colibrì sul vulcano non è uno scherzo della natura. Ci arriva, il peso leggero colombiano Esteban Chaves, dopo una fuga lunga una giornata, iniziata insieme a una trentina di coraggiosi che si sbriciolano per strada e conclusa per mano al compagno di squadra Simon Yates (Mitchelton Scott), dall’inghilterra con furore, il pistard che in 15 km di salita riscrive le gerarchie del Giro. Tappa a Chaves, maglia rosa a Yates. E le stelle stanno a guardare.
Da Paternò, pendici sudoccidentali, l’etna pare irraggiungibile. È scorbutico, gelido, ostile. L’ascesa da questo versante, inedito, cambia marcia a Ragalna, dopo una curva secca a destra: carreggiata stretta, pendenza massima 15%, il bosco che sfida le pietre laviche. Il peccato originale degli uomini di classifica è farla andare via, quella fuga, con dentro Chaves ma non solo. Ci sono Henao e De La Cruz di Sky, Polanc (vincitore sull’etna l’anno scorso), Mori e Ulissi del Team Emirates, che sceglie di provare a conquistare la tappa anziché difendere un Fabio Aru cui manca brillantezza, c’è un uomo di quasi ogni squadra ma, verguenza, nessuno dell’astana, la multinazionale che si sfianca per chiudere il buco e alla fine rimane con un pugno di mosche nel tascapane.
Strategie discutibili, frazione spaccata in due, tra chi fugge e chi insegue, dubbi immutati sui big con il freno a mano tirato: Froome che si attarda misteriosamente e poi torna sotto giocando con la scia dell’ammiraglia Bora, Dumoulin che non è (ancora) l’arancia meccanica dell’anno scorso (il Tour incombe minaccioso), Aru che limita i danni come aveva promesso, sembra attaccato ai migliori con lo sputo ma è lì. Gli scatti nervosi di Gesink, De Marchi e Ciccone sfarinano la fuga mentre Formolo cade e nel gruppo della maglia rosa i pezzi da novanta si marcano a uomo, più per non perdere che per provare a vincere. Aru, Pinot, Dumoulin sono soli, Froome ha con sé Elissonde, Dennis in rosa si scolora metro dopo metro.
A 5.200 m dal traguardo Chaves esce dal gruppetto e se ne va: sta bene, le alucce lo sostengono, e pensare che qualche mese fa (dopo un Tour 2017 da incubo) aveva la scapola fratturata e i medici al capezzale che gli garantivano che non avrebbe mai più corso in bicicletta. Sale verso l’osservatorio astrofisico agi-
d Aru Va meglio e sto crescendo, c’è chi ha più spunto di me, ma io sto prendendo il ritmo: serenità e fiducia, non mi sposto
le, fresco, determinato a regalarsi il più bel giorno della sua vita («È un sogno che ricorderò a lungo» dirà).
Ai meno tre km, tra i suiveurs, scatta Pozzovivo: tra i vivi gli risponde solo Pinot. Anzi no. Ecco Yates, biondo e secco come il fratello gemello Adam, autorizzato dall’ammiraglia ad andare a prendere il compagno di squadra laggiù in fondo. Con appena 17 secondi di ritardo da Dennis in crisi, Simon vede la maglia rosa in cima alla salita. E si prenderebbe in scioltezza anche il successo di tappa, se non fosse così sportivo da lasciarlo — con un gesto d’altri tempi — al piccolo Chaves. Coperti e allineati, quasi in parata per darsi forza l’uno con l’altro, arrivano i pretendenti a quel trono da cui, da oggi con lo sbarco in Calabria alla sgambata finale a Roma, non sarà facile buttare giù Yates. Francia, Inghilterra, Olanda e Italia, tutte racchiuse in un fazzoletto di 26 secondi. Nessuno drammatizza. Pinot, il più attivo (ora a +45” dal leader): «Quando Yates è partito ho capito che viaggiava a un’altra velocità. Io comunque avevo buone gambe, a livello degli altri». Froome, il più misterioso (+1’10”): «Buon test, contento di come è andato». Dumoulin, il più serioso (secondo in classifica generale a +16”): «Tappa piena di attacchi, difficile trarre conclusioni». Aru, il più (a parole) serafico (+1’12”): «Sto meglio, sento che sto crescendo. C’è chi ha più spunto di me però sto prendendo il ritmo. È normale. Era solo la sesta tappa, il primo arrivo in salita. Serenità e fiducia, non mi sposto».
L’etna ha borbottato rifiutandosi di emettere sentenze. Qualche lapillo, niente lava. Senza certezze fa un freddo cane, quassù.