TRATTATIVE LABORIOSE CON L’EUROPA ALLA FINESTRA
Il tentativo acrobatico è di conciliare le riduzioni di tasse promesse dalla Lega con il reddito di cittadinanza dei Cinque Stelle. L’obiettivo ambizioso è di ricucire Nord e Sud dell’italia, nonostante le vistose contraddizioni tra i cosiddetti «temi» cari al capo del Carroccio, Matteo Salvini, e al leader del Movimento, Luigi Di Maio. I due potenziali alleati hanno chiesto ancora tempo, fino a lunedì. E il capo dello Stato, Sergio Mattarella, lo ha di nuovo concesso. Ne hanno bisogno, hanno spiegato, per mettere a punto il famoso «contratto» che permetterà la formazione del loro governo.
Un fallimento appare improbabile: se non altro per la figura da irresponsabili che le due forze premiate dall’elettorato farebbero. A sentire i «contraenti», la trattativa sta facendo grossi passi avanti. Di Maio, Salvini e i loro esperti fanno di tutto per accreditare convergenze sul piano dei contenuti. Non è proprio così, ma questa narrativa serve a giustificare un’intesa seguita dalla base grillina con una vistosa dose di diffidenza. D’altronde, anche sulla figura del premier per ora non ci sono certezze.
L’impressione è che di qui a lunedì, le incognite si scioglieranno. Ma in attesa del «contratto», il Quirinale ha aggiunto alcune postille strategiche: clausole non scritte ma tali da prefigurare la nullità del patto, se non saranno rispettate. Il monito ai leader del M5S e del Carroccio è arrivato ieri da Firenze, dove si sono riuniti i vertici dell’ue. E Mattarella ha richiamato proprio l’ancoraggio europeo e europeista dell’italia, come intangibile.
Ha spiegato il valore economico e politico di una moneta unica che unisce le nazioni e le rende solidali. E ha liquidato i «sovranismi» cari a partiti come la Lega e alcune formazioni dell’est europeo, come inganni pericolosi. Facendolo, Mattarella ha tracciato il perimetro nel quale i «vincitori» dovranno muoversi. E ha implicitamente cercato di rassicurare gli alleati occidentali che la politica estera non cambierà. Il Quirinale conosce le perplessità e perfino l’allarme in alcune cancellerie.
Uno dei Paesi fondatori dell’ue che si avvia a essere governato da una maggioranza percepita come «populista», non può lasciare indifferenti. È vero che la parola populismo oggi comprende cose molto diverse; e che i Cinque Stelle hanno compiuto una lunga, tormentata virata su posizioni europeiste e filo Nato. Ma è anche vero che quando si è pensato a un fallimento delle trattative e al voto anticipato, Beppe Grillo ha riesumato il referendum per abolire l’euro: un segnale allarmante.
Ma soprattutto, Salvini non ha smesso di bersagliare le istituzioni di Bruxelles e gli Usa: attacchi che non sono passati inosservati. Gli auguri di successo venuti da Nigel Farage, ex leader inglese dell’antieuropeismo, non sono un buon viatico. E le accuse avversarie di preparare un governo filo Putin possono diventare un’arma. Per questo, la sensazione è che il capo dello Stato sarà obbligato a fare il garante della nuova maggioranza a livello internazionale. A cominciare dal premier.