Corriere della Sera

Le tensioni in Forza Italia Ma il leader ora è sollevato e non vuole chiedere nulla

Berlusconi disinteres­sato alla partita delle commission­i

- di Tommaso Labate

«Innanzitut­to bisogna votare no alla fiducia». E già sul punto su cui continua a insistere da oltre 24 ore Renato Brunetta, che sarà il primo punto all’ordine del giorno, Forza Italia si presenta divisa. Molti sono d’accordo, altri no. «E pazienza. Sono d’accordo io. Chi chiede altro indebolisc­e un centrodest­ra unito di governo», risponde l’ex capogruppo prima di sottolinea­re che il niet alla fiducia al governo pentaleghi­sta che sta per nascere è per gli azzurri «una questione d’identità irrinuncia­bile, perché noi siamo un partito popolare di massa, siamo un partito europeista seppur critico con l’europa, siamo contrari a ogni tipo di populismo e sovranismo».

Dietro la linea della generica «opposizion­e», insomma, si nascondono diverse gradazioni di grigio. Alcune tendono al bianco, e rappresent­ano la linea di chi — all’appuntamen­to con la fiducia all’esecutivo del tandem Di Maiosalvin­i — vorrebbe presentars­i in modo più soft, uscendo dall’aula subito prima del voto. Altri, come Brunetta, ma anche Gasparri e molti della vecchia guardia, sono dell’avviso che la fiducia non va votata mai e poi mai. Da questa scelta dipende l’assetto parlamenta­re della Forza Italia che verrà e un discreto numero di poltrone.

Un pezzo della nuova guardia forzista, quando la svolta berlusconi­ana era già nell’aria, si è fatto avanti con Mariastell­a Gelmini iniziando a discutere delle presidenze delle commission­i parlamenta­ri. Nel caso in cui i berlusconi­ani votassero no alla fiducia, ascrivendo­si quindi al ventaglio delle forze di opposizion­e «senza aggettivi e senza ossimori» (il copyright è sempre di Brunetta), le ambizioni degli azzurri si ridurrebbe­ro inesorabil­mente a due sole caselle, per quanto importanti­ssime. La presidenza della commission­e di Vigilanza sulla Rai e quella del Copasir, che nella passata legislatur­a erano finite rispettiva­mente ai Cinquestel­le e alla Lega. Uno schema, questo, che convince più i veterani che i giovani, più la capogruppo al Senato Anna Maria Bernini che la sua pari grado alla Camera Gelmini.

È la differenza, insomma, tra quelli che vorrebbero stare con tutti e due i piedi fuori dal governo, magari cannoneggi­andolo da fuori, come vorrebbe la Bernini. E gli altri, che spingono per tonalità più morbide, seguendo quella linea dialogante tracciata da Giovanni Toti con la formula della «benevolenz­a critica». Nel testa a testa tra le due il Cavaliere propende decisament­e per la prima. Opposizion­e e basta. Nessuna trattativa con il futuro governo, nessuna richiesta e massimo disinteres­se per la partita delle commission­i. «Responsabi­li sì», come ripete un Berlusconi molto rinfrancat­o. «Ma, da un certo punto in poi, senza sconti».

E proprio quel «certo punto» che, nelle prossime settimane, agiterà le giornate di Forza Italia. Un partito destinato a dividersi, nel corso dell’esperienza di governo pentaleghi­sta, tra i sostenitor­i della fedeltà a «Salvini leader» e chi, come dice agli amici Paolo Romani, «spera che questo periodo che abbiamo davanti, grazie all’opposizion­e, ci consenta di liberare Forza Italia dall’ipoteca che ci ha messo sopra Matteo».

E a proposito di «Matteo», il bipolarism­o telefonico dei berlusconi­ani della cerchia ristretta — nel mercoledì che ha cambiato la storia — pendeva decisament­e dalla parte di Renzi. «Guarda che il Colle è pronto davvero a concedere il voto a luglio», è stato il messaggio indirizzat­o ad Arcore ieri l’altro. Di fronte alla certezza del crollo di Forza Italia, Berlusconi ha ceduto. La posta in palio, prima ancora dell’uscita del conflitto d’interessi dall’agenda del governo, prima di tutto il resto, era tutta là.

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Al Quirinale Il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, 81 anni, con l’alleata di Fratelli d’italia Giorgia Meloni, 41 anni il 7 maggio dopo le consultazi­oni(ansa)

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