Corriere della Sera

Bruciò e uccise la ex, niente ergastolo In Appello la pena ridotta a 30 anni

Roma, la mamma di Sara: «Lui mai pentito»

- Fulvio Fiano

ROMA Trent’anni invece dell’ergastolo. Il «crudele e malvagio» (definizion­i del giudice di primo grado) Vincenzo Paduano, il 29enne che nel 2016 uccise a mani nude Sara Di Pietranton­io e diede fuoco al cadavere «non sopportand­o la perdita di dominio su di lei», ottiene uno sconto di pena passando dalla strettoia di una diversa lettura tecnica delle accuse (confermate nel merito): omicidio volontario aggravato dalla premeditaz­ione e dai futili e abietti motivi, stalking e distruzion­e del cadavere. In primo grado, lo stalking riconosciu­to come reato autonomo aveva annullato lo sconto di un terzo di pena che prevede il rito abbreviato. Per i giudici della corte d’assise d’appello, invece, gli atti persecutor­i vengono assorbiti dal reato più grave. Restano le aggravanti, che la richiesta di perdono pronunciat­a due giorni fa in aula da Paduano non hanno intaccato.

«Per un ragazzo della sua età non mi pare ci sia una grossa differenza tra una condanna all’ergastolo e a 30 anni di reclusione», commenta a caldo, con pacatezza, Concetta Raccuia, mamma della 22enne. La donna, però, non dà peso alle lacrime dell’assassino: «Posso apparire cinica, ma non credo che l’imputato si sia pentito per davvero: per arrivare a un pentimento sincero dovrà essere aiutato in un percorso lungo, da solo non può farcela. Paduano ha pianto per se stesso».

Al culmine di una persecuzio­ne fatta di appostamen­ti, imboscate, intrusioni nei suoi social, messaggi e sceneggiat­e, la notte del 29 maggio Paduano seguì attraverso la geolocaliz­zazione del suo telefono gli spostament­i della studentess­a che lo aveva lasciato poche settimane prima. Controllò che Sara accompagna­sse a casa il ragazzo che aveva preso a frequentar­e (e davanti al quale Paduano la aveva già aggredita) e la aspettò sulla strada di ritorno a casa. In un tratto buio della Magliana, alle 3 di notte, con la sua auto strinse quella della ragazza e costrinse la 22enne a scendere. L’ennesima violenta rivendicaz­ione di accuse e assurdi Insieme Vincenzo Paduano, 29 anni, con Sara Di Pietranton­io: lei ne aveva 22 quando fu uccisa diritti, finché le gettò dell’alcol sui vestiti. Poi, dopo averla inseguita, le strinse le mani al collo, la lasciò a terra morente e le diede fuoco gettandole addosso una sigaretta, sprezzante. Infine tornò nell’ufficio in cui lavorava come vigilante notturno e dove aveva lasciato il suo telefono per non essere tracciato.

Le indagini del pm Maria Gabriella Fazi ottennero da Facebook, con rogatoria internazio­nale, l’accesso alle chat cancellate dall’assassino. «Perché vuoi uccidermi?» si chiedeva lei quando cominciò ad aver paura davvero. E lui: «Servirebbe a qualcosa?». Poi, due ore prima del delitto, l’annuncio: «Quando il marcio è radicato nel profondo ci vuole una rivoluzion­e, tabula rasa. Diluvio universale».

Mai Paduano ha avuto parole per la ragazza. Salvo dire in aula alla vigilia della sentenza: «Non merito pace e penso a Sara ogni giorno. Mi sono macchiato della peggiore azione che un uomo possa fare e per questo mi definisco un mostro». L’avvocato Paolo Pirani si dichiara «parzialmen­te soddisfatt­o per la riduzione della condanna inflitta, non per il fatto che siano rimaste in vita le gravi aggravanti contestate».

La sentenza

Sono rimaste le aggravanti di premeditaz­ione e di futili e abbietti motivi

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