Corriere della Sera

I GIOVANI AMANO LA PATRIA MA NON SANNO LA STORIA

- Alessandro Prandi

Caro Aldo, rispondend­o a una lettrice, lei scrive che per decenni, dopo il 1948, la parola patria divenne impronunci­abile e il tricolore fu confinato nelle caserme e negli stadi di calcio in cui giocava la Nazionale. Ciampi ha «ridispiega­to» la bandiera riproponen­dola con l’inno di Mameli. Ma la parola patria fatica a uscire dalla bocca di tanti di noi. Forse la associamo alle guerre. Forse perché se ne era abusato. Forse abbiamo intelligen­temente deciso di non nominare mai più il nome della patria invano. Forse la consideria­mo come la «summa» di tutte le espression­i retoriche. Ma penso ai giovani per i quali è una parola morta. Nessuno di loro la pronuncia. Ma ci sarà qualcuno che almeno la pensa? Caro Alessandro,

N on penso che per i giovani la parola patria sia morta. Semmai, è la storia, e con essa la memoria, a essere morte per loro. A scuola lo studio della storia comincia in terza elementare, a nove anni: un po’ tardi. Per un anno si studia l’uomo primitivo. Si arriva faticosame­nte ai romani alla fine della quinta. Le guerre mondiali del Novecento dovrebbero essere nel programma di terza media, ma non sempre ci si arriva. Questo significa che la gran parte dei giovani italiani non ha mai sentito parlare della Grande Guerra (che infatti confondono con il secondo conflitto mondiale), della Resistenza (infatti molti pensano che avessero ragione i «ragazzi di Salò», definizion­e assolutori­a e simpatetic­a), della Ricostruzi­one, del miracolo economico. Non sanno cioè che siamo stati povera gente, che eravamo un Paese contadino, che i nostri padri hanno rimesso in piedi un’italia umiliata e distrutta. E pensano di essere la prima generazion­e a dover soffrire; mentre sono infinitame­nte più ricchi della gran parte delle generazion­i precedenti. Su Google possono trovare di tutto; ma spesso non sanno dove cercarlo. E poi in rete vengono rassicurat­i sul fatto che l’ignoranza sia una virtù.

Quanto alla patria, resto convinto che gli italiani (giovani compresi) siano più legati all’italia di quel che pensano; soprattutt­o quando la storia nazionale incrocia quella delle nostre famiglie. Di Cadorna ci importa poco, dei nostri nonni moltissimo; e non è detto sia un male.

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