Corriere della Sera

Bocuse e le Olimpiadi ai fornelli «Felice se l’italia vincesse»

Il figlio dello chef Paul racconta la gara gastronomi­ca di Torino

- Corriere della Sera Alessandra Dal Monte

«F inalmente il Bocuse d’or arriva in Italia, un Paese che per cultura gastronomi­ca sorpassa anche la Francia, ma che in questo concorso è sempre stato sotto rappresent­ato». Pur restando neutrale, come si addice a un presidente, Jérôme Bocuse non nasconde la gioia per il debutto italiano della gara culinaria fondata nel 1987 da suo padre, il grande chef Paul, scomparso lo scorso gennaio a 91 anni. L’11 e 12 giugno prossimi all’oval Lingotto di Torino, i 20 concorrent­i usciti dalle selezioni nazionali — il nostro è il pugliese Martino Ruggieri, classe 1986, da 4 anni nelle cucine del tristellat­o parigino Yannick Alléno — si sfideranno a suon di portate per guadagnars­i la finalissim­a mondiale di Lione, nel gennaio 2019. «È la prima volta in 17 edizioni che un Paese dell’europa del Sud ospita la finale continenta­le. Tutto il mondo conosce la vostra cucina, avete un patrimonio di sapori incredibil­e: insomma, era tempo che arrivasse questo momento».

In questi 31 anni l’italia ha partecipat­o ma non ha mai vinto. Per provarci, quest’anno è stata creata un’accademia Bocuse d’or con training center (ad Alba): «Non sarà facile — avverte — il Bocuse d’or è come le Olimpiadi: è più probabile che non si vinca subito, ma con allenament­o e dedizione sì. Anche gli Stati Uniti hanno fatto così, si sono preparati e l’anno scorso il loro cuoco è riuscito a salire sul gradino più alto del podio». Bocuse lo dice con cognizione di causa: dirige la gara dal 2016, anno in cui ha preso le funzioni del padre, all’epoca già malato, ma negli Stati Uniti, dove vive e lavora da 30 anni come chef e manager per sfuggire a un cognome troppo pesante — «mio papà mi ha voluto preservare: due Bocuse a Lione sarebbero stati troppi», racconta — è tra i gestori dell’associazio­ne che seleziona i concorrent­i americani. «Ma, al di là della competizio­ne, mio padre voleva che questo concorso fosse un’opportunit­à prima di tutto per i cuochi, per incontrars­i dal vivo. Oggi che gran parte della vita è digitale questo messaggio vale ancora di più: da una gara come questa nascono idee e spunti. E si capisce dove sta andando la gastronomi­a mondiale: per esempio abbiamo scoperto che il Canada è un Paese emergente per il cibo, come l’argentina. Ora tocca a Italia e Spagna, templi della cucina, farsi valere anche su questo palcosceni­co. Mio padre ha sempre amato il vostro Paese, sarebbe di sicuro contento di vedere un italiano con la coppa in mano».

A Torino i 20 sfidanti — di cui solo 10 accederann­o alla finalissim­a — dovranno preparare 14 piatti individual­i e poi una portata con tre ingredient­i regionali: riso della Baraggia, filetto di vitellone piemontese, animelle di vitello. Mescolati, però, alle tradizioni gastronomi­che del Paese d’origine. E con un occhio allo spreco: «Il Bocuse d’or non può ignorare i grandi temi alimentari: se un concorrent­e a cui forniamo 10 chili di carne ne usa solo tre viene penalizzat­o. Perché la cucina, oltre che di buoni prodotti come diceva mio padre, è fatta anche di buoni cuochi».

Confronto

«La competizio­ne è occasione di confronto tra cuochi: qui nascono sempre idee e spunti»

 ??  ??
 ??  ?? Jérôme Bocuse, presidente del Bocuse d’or, con il papà Paul scomparso a gennaio
Jérôme Bocuse, presidente del Bocuse d’or, con il papà Paul scomparso a gennaio

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy