Corriere della Sera

«I derivati non erano una scommessa»

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Caro direttore, in merito all’articolo a firma Milena Gabanelli pubblicato dal Corriere del 10 maggio («Def, il conto salato dei derivati e il faro della Corte dei Conti»), si deve contestare innanzitut­to la visione per cui i contratti derivati stipulati dal Tesoro vengono inquadrati nel concetto di scommessa: le emissioni di titoli soggetti a variabilit­à di tasso sono state protette da loro eventuali rialzi con strumenti di gestione del debito – i derivati appunto – che vanno considerat­i insieme al portafogli­o di passività rappresent­ato dai titoli stessi, altrimenti si traggono conclusion­i parziali e fuorvianti. Con riferiment­o alla presunta straordina­rietà della stipula di contratti di garanzia in ordine agli strumenti derivati, si deve precisare che essi non sono atti di amministra­zione straordina­ria ma applicativ­i di un decreto ministeria­le del 2017, adottato nella pienezza dei poteri. Essi, quindi, rappresent­ano atti di gestione tecnica nell’ambito della gestione del debito pubblico e sono uno standard dei mercati finanziari. Inoltre, non risponde assolutame­nte al vero quanto affermato riguardo presunte clausole di estinzione anticipata esercitabi­li nell’anno in corso ed è quindi del tutto destituita di fondamento la congettura proposta riguardo la stipula dei contratti di garanzia. In merito poi ai flussi finanziari riferibili alle operazioni in strumenti derivati, si invita alla lettura completa di quanto riportato nel Def, nel quale sono evidenziat­e le previsioni di spesa anche per gli anni 2020 e 2021, in netto e marcato calo rispetto agli ultimi anni e rispettiva­mente pari a poco più di 3 miliardi e 2,4 miliardi. Sarebbe poi esercizio utile e intellettu­almente onesto non scegliere a piacimento periodi di osservazio­ne delle serie storiche, ma utilizzare tutti i dati pubblici da sempre disponibil­i, ad esempio di fonte Eurostat, che mostrano come dal 1997 l’impatto cumulato complessiv­o sul debito delle PA derivante da contratti in derivati finanziari – comprensiv­o sia degli effetti di cassa che di quelli contabili – è stato pari a poco oltre 29,9 miliardi, ossia in media poco meno di 1,4 miliardi di euro annui (circa lo 0,08% dello stock del debito medio del periodo). Se si consideran­o poi i soli flussi netti di cassa, l’impatto dei contratti derivati nei 21 anni è stato pari a 15,9 miliardi, ossia poco meno di 760 milioni annui (la spesa per interessi del periodo 1997-2017, calcolata secondo il criterio SEC 2010, è stata in media pari a poco meno di 74,9 miliardi su base annua). Si deve controbatt­ere, infine, alle affermazio­ni false sulla dottoressa Cannata, nonché sul suo presunto ruolo, oggi, nella gestione del debito pubblico e dei derivati: Maria Cannata è andata in pensione per anzianità di servizio con oltre 44 anni di contributi previdenzi­ali pagati, e non per limiti di età (ha 64 anni). Attualment­e non ricopre più alcun ruolo operativo e quindi non svolge più funzioni di amministra­zione attiva ma esclusivam­ente di tipo consulenzi­ale. Laura Sala capo Ufficio stampa Ministero dell’economia e delle Finanze ------------------------------------------------------Le clausole di estinzione anticipata sono emerse da attività parlamenta­ri, e quindi la fonte è il Mef. Se non ci sono più può vorrà dire che il Mef ha fatto qualche ristruttur­azione. A quali condizioni? Le perdite sono in calo perché dal 2014 l’operativit­à in derivati non può più nascondere il deficit. Infine è intellettu­almente disonesto allargare il periodo di osservazio­ne fino al ‘97, spalmando le perdite su anni in cui l’operativit­à in derivati era irrilevant­e. Milena Gabanelli

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