Ilva, non c’è l’accordo Il sindacato dice no al taglio di 4.000 posti
Niente accordo per l’ilva. L’incontro di ieri tra sindacati e Arcelor Mittal al Mise è andato a vuoto. Salvo sorprese, il dossier passa al prossimo esecutivo. Con tutte le incertezze che ciò comporta.
Ieri il ministro Carlo Calenda è arrivato al tavolo con un documento dal titolo «Punti principali dello schema di accordo». Eccone i contenuti. Primo: 10 mila assunzioni in Arcelor Mittal (Am Invest) su 14 mila dipendenti attuali. Dei 4 mila esclusi, 2.500 sarebbero dovuti restare nell’ilva in amministrazione controllata. Per loro incentivi all’esodo: in tutto 200 milioni di euro (in pratica 60-80 mila euro a lavoratore) più cinque anni di cassa integrazione. Per i restanti 1.500 l’approdo sarebbe stato una società di servizi chiamata «Società per Taranto» costituita da Ilva e Invitalia. Proprio a questa società Am Invest si impegnava a trasferire lavoro. Per finire, chi fosse rimasto al lavoro avrebbe dovuto rinunciare al premio di risultato (oggi pari al 5% della retribuzione) fino al 2021.
Il condizionale è d’obbligo e gli spiragli per chiudere la trattativa ora sono davvero minimi, anche se il segretario generale della Fim Cisl, Marco Bentivogli, ieri in serata con un comunicato chiedeva la riapertura immediata del negoziato. «Qualcuno pensa di avere più chances in attesa di governi amici e ha sacrificato gli interessi della trattativa pur di impallinare il tentativo del ministro Calenda — ha scritto Bentivogli —. L’azienda, intanto perde 30 milioni al mese. Stupidi interessi di bottega hanno ipotecato accordo».
«A distanza di sette mesi dall’inizio del negoziato il documento del governo non recepisce minimamente le nostre richieste ma permette a Mittal di disimpegnarsi rispetto a oltre 4.000 lavoratori», taglia corto sulle ragioni della rottura Mirco Rota, della segreteria Fiom Cgil. Mentre il leader dei metalmeccanici della Uil Rocco Palombella punta il dito contro le esternalizzazioni: «Oggi all’ilva sono operative 11 mila persone per una produzione di 4 milioni di tonnellate. Con Am Invest si vuole raddoppiare a 8 milioni di tonnellate con 10 mila lavoratori. È evidente che i conti non tornano. Tutta colpa di esternalizzazioni. Per noi del tutto inaccettabili».