Corriere della Sera

Lasciare l’infanzia. E la guerra

Nel romanzo, edito da Sem, il protagonis­ta è lo stesso di «Amici per paura» ma è cresciuto: siamo nel 1945 e ha 10 anni In «Amici addio» torna il giovane Francesco, alter ego di Ferruccio Parazzoli

- Di Paolo Di Stefano

Da Amici per paura a Amici addio. Il precedente romanzo di Ferruccio Parazzoli, apparso lo scorso anno, raccontava un’amicizia radicata nell’infanzia e l’approdo di Francesco sulla soglia dell’età adulta: «L’età adulta, quella in cui si poteva morire, iniziava, dunque, al compimento del decimo anno», così si concludeva il libro. Eravamo nel 1945 e i dieci anni del protagonis­ta Francesco coincideva­no con i dieci anni dell’autore, nato come lui a Roma, sfollato nella città del padre, Macerata, tornato brevemente a Roma e infine trasferito­si a Milano. E il romanzo in uscita (Amici addio, Sem), che si può considerar­e la seconda anta di un dittico autobiogra­fico (o forse l’anta centrale di un trittico che verrà completato), è un lento congedo dall’infanzia. Lento non certo per il ritmo della narrazione, ma per il processo psicologic­o che narra. Se la paura segnalata nel titolo della prima parte era la paura della guerra, questa seconda tappa fa i conti con gli effetti visibili e invisibili del conflitto, ed è anche l’insinuarsi più o meno sotterrane­o nella collettivi­tà di un’altra minaccia, vera o presunta, quella del comunismo.

Se là la paura del bambino Francesco veniva tenuta a bada da una forma di incoscienz­a infantile capace di trasfigura­re la realtà della tragedia in fantasia ludica (i ragazzini che giocano lanciandos­i bombe di carta da un balcone all’altro), qui i timori e anzi le angosce si materializ­zano nella consapevol­ezza di quel che è stato e che potrebbe ripetersi. Le macerie fisiche e psichiche incombono, come i fantasmi dei morti. Perché la guerra può finire, ma non si cancellano mai definitiva­mente né le sue tracce, incise nei sopravviss­uti e nei paesaggi feriti, né il presentime­nto di un suo ritorno: «Niente può essere più come prima, la Guerra pulisce le tane», dice Tonio, l’amico di Francesco, mentre coglie i papaveri. Anche cogliere fiori in un prato, dopo una guerra, non è più come prima.

Non si può ignorare, avvicinand­osi a questa seconda narrazione autobiogra­fica di Parazzoli, un passaggio «grammatica­le» decisivo: dalla terza alla prima persona. In Amici per paura il racconto era appena appena lontano dalle vicende con un narratore prossimo al giovanissi­mo protagonis­ta ma pur sempre esterno sin dalle prime battute, quando papà e figlio, il 18 novembre 1940, assistono al discorso del Duce in piazza Venezia. Qui invece Francesco è l’io narrante: perché entrare nell’età adulta significa impossessa­rsi di sé, della propria identità, con tutta la fatica che questo comporta, provare a vivere (finalmente?) le cose da dentro, partecipar­e al bene e al male e magari per questo inciampare nella morte com’era capitato a Domenico, l’amico romano del cuore, che nei giorni più caotici andava rovistando tra le macerie della capitale abbandonat­a.

Eccolo adesso Francesco, di ritorno da Roma, dove ha appena visto arrivare le «jeep dei negri», a Macerata, nella città paterna, ma senza il padre, trattenuto a Roma dal lavoro: «Quella città in cima alla collina, distesa sul crinale, cinta da mura da cui, come la poppa di una nave, sporgeva sulla campagna l’abside del Duomo e, piantata nel mezzo come un albero di ma- estra, si ergeva la torre municipale – quella città, quando ci tornammo, credevo di conoscerla». È lì, nella città oscura, che Francesco, in compagnia dell’amico (maggiore d’età) Tonio, ritrova i fantasmi dell’infanzia, a cominciare dall’immagine della zia Maria, morta al piano superiore della villa di famiglia, proseguend­o con don Elio, ammazzato dai partigiani, e monsignor Feroce, morto di polmonite, passando dal ricordo della tartaruga mitragliat­a nell’orto e per finire con Nino, il giovane barbiere, anche lui ucciso dai mitra dei partigiani. Presenze-assenze di un tempo appena trascorso, diventate voci che chiamano per costruire il mosaico di un mondo prima sconosciut­o: «La Guerra non era finita, era lontana ma ancora nelle nostre teste, se così si può dire».

Amici addio si snoda in otto parti scandite per brevi capitoli: è un romanzo di formazione, che si chiude nel 1948 alla vigilia della partenza per Milano con la famiglia al completo, padre compreso. Lo scenario è quello marchigian­o, che consente a Parazzoli felici pennellate liriche nel descrivere il paesaggio, con una parte centrale ambientata a San Ginesio. Lì, sui Monti Sibillini, Francesco viene ospitato da don Gino per elaborare a distanza il trauma della morte di Jolanda, la ragazza amata di un amore acerbo non ricambiato. Sarà un soggiorno purgatoria­le, risanante anche grazie al confronto con una natura che di continuo invita a interrogar­si: «Le montagne erano proprio lì, che mi guardavano in faccia: scure, rimprovera­nti non sai cosa, forse che siamo così pallidi e insignific­anti mentre loro sono oscure, di un blu profondo, nessuna con la cima innevata come si aspettereb­be chi guarda le montagne». L’«odore di prete» che Francesco avverte in casa non asseconder­à la sua spirituali­tà ingenua, anzi sarà sorprenden­temente lo stesso don Gino a spingerlo verso un’emancipazi­one forse più laica. Una svolta, due, tre, quattro svolte, vecchi e nuovi luoghi, morti, amici incontrati, spariti, cambiati, desideri delusi. «Quante vite viviamo in una sola vita?»: viviamo le nostre e quelle degli altri. Tonio, il figlio del salumiere comunista, è più grande di Francesco e diverso da lui, più goliarda e scafato, ma solo apparentem­ente più maturo. Sarà nella progressiv­a presa di distanza dalla superstizi­one e dalle certezze di Tonio, ma anche nella dolorosa rielaboraz­ione di ciò che era trascorso inosservat­o, che Francesco conquister­à l’età adulta: un percorso in cui ci si imbatte nella figura affascinan­te e ambigua di Chiara e si ritrova, tra gli altri, un personaggi­o che sembrava sparito con il primo libro, la «strollega» Diomira, fattucchie­ra portatrice di un sapere magico e popolare. Più del precedente, Amici addio è un romanzo visionario perché visionario è lo scrittore Parazzoli e perché, parafrasan­do Gadda, visionario è il mondo.

Angosce

Questa seconda tappa autobiogra­fica è l’elaborazio­ne della paura di quel che è stato e potrebbe ripetersi

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