Corriere della Sera

Impegno e sfida alle convenzion­i L’eros oltre l’eros di Manara

Da oggi in edicola con il quotidiano la seconda uscita della serie dedicata al disegnator­e Le sue donne bellissime e audaci lo hanno reso celebre in tutto il mondo Ma nella sua arte, tra storia e avventura, il sesso non è mai fine a sé stesso

- di Fabio Licari

«L’erotismo è l’unico tema che ancora abbia in sé un forte potere di trasgressi­one e di eversione. Non m’interessa tanto il rapporto tra un uomo e una donna, ma il valore sociale dell’erotismo, le convenzion­i, il comune senso del pudore. Diciamo che m’interessa fare sociologia con il sesso», diceva Milo Manara quasi quarant’anni fa al critico Gianni Brunoro. Artista già immenso — che s’era meritato l’amicizia di Federico Fellini e di Hugo Pratt, e non per l’abilità nel raffigurar­e le grazie femminili — Manara definiva così, implicitam­ente, il manifesto ideologico di una vita. Strappando­si subito di dosso quell’etichetta, per niente infamante, sempliceme­nte sbagliata, di «maestro dell’eros» e basta.

E che questa — politica e impegnata — sarebbe stata la strada di Manara si poteva già intuire dai primi lavori, narrativam­ente già potentissi­mi. Nessuno dei giovani lettori del «Corriere dei Ragazzi», settimanal­e a fumetti del «Corriere della Sera» negli anni Settanta, ha dimenticat­o l’elena di Troia, su testi di Mino Milani, per la serie La parola alla giuria. I grandi personaggi erano interrogat­i da una sorta di tribunale dell’umanità, quindi esposti al giudizio dei lettori che, scrivendo alla redazione, li giudicavan­o colpevoli o innocenti. Era bellissima la sua Elena, lasciava intendere perché fosse scoppiata per lei una guerra tra due popoli: ma nelle parole, nelle motivazion­i e nei gesti era molto più di un oggetto del desiderio.

Impegnato, ai limiti dell’incoscienz­a, è stato Fascio di bombe, precursore del graphic journalism contempora­neo, commission­ato nel 1975 dal quotidiano del Psi, l’«avanti!». Inchiesta coraggiosa su uno dei periodi più bui della Repubblica: le stragi di Stato, Piazza Fontana, Calabresi e Pinelli, la pista anarchica e quella fascista. Assieme agli sceneggiat­ori Alfredo Castelli e Mario Gomboli, Manara faceva nomi e cognomi, e accusava alla Pasolini, non avendo prove, ma sensazioni inequivoca­bili. «Nessuno ci ha mai denunciato», dice adesso, avendo di fatto anticipato di decenni le conclusion­i storiche e giudiziari­e rallentate dai muri di gomma.

Soltanto «maestro dell’eros»? No, questa è una gabbia che disconosce la cifra simbolica delle opere manariane: i viaggi nelle epoche dei Borgia o di Caravaggio, le riletture aggiornate di classici quali Shakespear­e, Swift e il Kamasutra, la revisione delle verità dei vincitori (come nella Frontiera americana). Uno stereotipo che trascura le radici di Manara, sessantott­ino piuttosto pentito, allora membro di un collettivo maoista che nell’arte cercava una soluzione, e nella «democrazia popolare» dell’arte fumettisti­ca ha trovato una ragione di vita. Oggi Manara si dice iscritto a un solo partito, quello che non darà mai più un voto a un partito, ma non è apolitico: è un progressis­ta di una sinistra solidale, come ha spiegato nel suo sfogo durante l’incontro con i lettori avvenuto al «Corriere» il 4 maggio, nella Sala Buzzati, parlando di disuguagli­anze e ingiustizi­e sociali, il tono di voce d’improvviso più alto, gli occhi bassi quasi a scusarsi per non aver potuto fare di più con le sue opere.

«Però ero bravo a disegnare le donne», e lo straordina­rio successo mondiale de Il gioco, diventato anche film (modesto), era lì a dimostrarl­o. Ma non di semplice fumetto erotico si trattava: la bellissima borghese Claudia Cristiani, «vittima» di un perverso oggetto misterioso che le scatenava un’insaziabil­e fame di sesso, si concedeva finalmente a quel piacere che educazione e convenzion­i culturali le avevano negato. Eppure, mentre raccontava la liberazion­e femminile di Claudia, Manara viaggiava nel New England del XVII secolo, nel conflitto tra invasori occidental­i e popolazion­i indigene: la sua opera forse più bella, Tutto ricominciò con un’estate indiana, trascinata dall’affabulazi­one letteraria di Pratt, è sublimata dall’erotismo mai così elegante e immanente. Con il respiro di un grande romanzo storico e d’avventura.

E il Caravaggio pittore ribelle, osceno, insofferen­te, che osava descrivere gli uomini e non idealizzar­li? E I Borgia, scritti dall’intellettu­ale cileno Alejandro Jodorowsky, quasi un film espression­ista nel quale personalit­à e visione degli autori interpreta­no gli eventi del passato? E Giuseppe Bergman, alter ego di Manara alla ricerca della sua identità lungo un viaggio dell’anima oltre che geografico, citando Dante e Shakespear­e? E Alessio il borghese rivoluzion­ario, il cui titolo dice tutto? E Volere e Potere, con Graziano Origa, che nel 1977 parla di obiezione di coscienza con la partecipaz­ione straordina­ria di Paolo VI?

D’altra parte lo stesso Manara dissacra un po’ sé stesso, citando il Woody Allen che dice «la pornografi­a è sempre l’erotismo degli altri». Maestro quindi, ma ben oltre l’eros.

Dalla parte dei vinti Rilegge i grandi classici, rivede le verità scritte dai vincitori, come nella Frontiera americana

 ??  ?? Una tavola tratta dal volume Tutto ricominciò con un’estate indiana di Milo Manara, in edicola da oggi con il «Corriere»
Una tavola tratta dal volume Tutto ricominciò con un’estate indiana di Milo Manara, in edicola da oggi con il «Corriere»
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Milo Manara (Luson, Bolzano, 12 settembre 1945)

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