Impegno e sfida alle convenzioni L’eros oltre l’eros di Manara
Da oggi in edicola con il quotidiano la seconda uscita della serie dedicata al disegnatore Le sue donne bellissime e audaci lo hanno reso celebre in tutto il mondo Ma nella sua arte, tra storia e avventura, il sesso non è mai fine a sé stesso
«L’erotismo è l’unico tema che ancora abbia in sé un forte potere di trasgressione e di eversione. Non m’interessa tanto il rapporto tra un uomo e una donna, ma il valore sociale dell’erotismo, le convenzioni, il comune senso del pudore. Diciamo che m’interessa fare sociologia con il sesso», diceva Milo Manara quasi quarant’anni fa al critico Gianni Brunoro. Artista già immenso — che s’era meritato l’amicizia di Federico Fellini e di Hugo Pratt, e non per l’abilità nel raffigurare le grazie femminili — Manara definiva così, implicitamente, il manifesto ideologico di una vita. Strappandosi subito di dosso quell’etichetta, per niente infamante, semplicemente sbagliata, di «maestro dell’eros» e basta.
E che questa — politica e impegnata — sarebbe stata la strada di Manara si poteva già intuire dai primi lavori, narrativamente già potentissimi. Nessuno dei giovani lettori del «Corriere dei Ragazzi», settimanale a fumetti del «Corriere della Sera» negli anni Settanta, ha dimenticato l’elena di Troia, su testi di Mino Milani, per la serie La parola alla giuria. I grandi personaggi erano interrogati da una sorta di tribunale dell’umanità, quindi esposti al giudizio dei lettori che, scrivendo alla redazione, li giudicavano colpevoli o innocenti. Era bellissima la sua Elena, lasciava intendere perché fosse scoppiata per lei una guerra tra due popoli: ma nelle parole, nelle motivazioni e nei gesti era molto più di un oggetto del desiderio.
Impegnato, ai limiti dell’incoscienza, è stato Fascio di bombe, precursore del graphic journalism contemporaneo, commissionato nel 1975 dal quotidiano del Psi, l’«avanti!». Inchiesta coraggiosa su uno dei periodi più bui della Repubblica: le stragi di Stato, Piazza Fontana, Calabresi e Pinelli, la pista anarchica e quella fascista. Assieme agli sceneggiatori Alfredo Castelli e Mario Gomboli, Manara faceva nomi e cognomi, e accusava alla Pasolini, non avendo prove, ma sensazioni inequivocabili. «Nessuno ci ha mai denunciato», dice adesso, avendo di fatto anticipato di decenni le conclusioni storiche e giudiziarie rallentate dai muri di gomma.
Soltanto «maestro dell’eros»? No, questa è una gabbia che disconosce la cifra simbolica delle opere manariane: i viaggi nelle epoche dei Borgia o di Caravaggio, le riletture aggiornate di classici quali Shakespeare, Swift e il Kamasutra, la revisione delle verità dei vincitori (come nella Frontiera americana). Uno stereotipo che trascura le radici di Manara, sessantottino piuttosto pentito, allora membro di un collettivo maoista che nell’arte cercava una soluzione, e nella «democrazia popolare» dell’arte fumettistica ha trovato una ragione di vita. Oggi Manara si dice iscritto a un solo partito, quello che non darà mai più un voto a un partito, ma non è apolitico: è un progressista di una sinistra solidale, come ha spiegato nel suo sfogo durante l’incontro con i lettori avvenuto al «Corriere» il 4 maggio, nella Sala Buzzati, parlando di disuguaglianze e ingiustizie sociali, il tono di voce d’improvviso più alto, gli occhi bassi quasi a scusarsi per non aver potuto fare di più con le sue opere.
«Però ero bravo a disegnare le donne», e lo straordinario successo mondiale de Il gioco, diventato anche film (modesto), era lì a dimostrarlo. Ma non di semplice fumetto erotico si trattava: la bellissima borghese Claudia Cristiani, «vittima» di un perverso oggetto misterioso che le scatenava un’insaziabile fame di sesso, si concedeva finalmente a quel piacere che educazione e convenzioni culturali le avevano negato. Eppure, mentre raccontava la liberazione femminile di Claudia, Manara viaggiava nel New England del XVII secolo, nel conflitto tra invasori occidentali e popolazioni indigene: la sua opera forse più bella, Tutto ricominciò con un’estate indiana, trascinata dall’affabulazione letteraria di Pratt, è sublimata dall’erotismo mai così elegante e immanente. Con il respiro di un grande romanzo storico e d’avventura.
E il Caravaggio pittore ribelle, osceno, insofferente, che osava descrivere gli uomini e non idealizzarli? E I Borgia, scritti dall’intellettuale cileno Alejandro Jodorowsky, quasi un film espressionista nel quale personalità e visione degli autori interpretano gli eventi del passato? E Giuseppe Bergman, alter ego di Manara alla ricerca della sua identità lungo un viaggio dell’anima oltre che geografico, citando Dante e Shakespeare? E Alessio il borghese rivoluzionario, il cui titolo dice tutto? E Volere e Potere, con Graziano Origa, che nel 1977 parla di obiezione di coscienza con la partecipazione straordinaria di Paolo VI?
D’altra parte lo stesso Manara dissacra un po’ sé stesso, citando il Woody Allen che dice «la pornografia è sempre l’erotismo degli altri». Maestro quindi, ma ben oltre l’eros.
Dalla parte dei vinti Rilegge i grandi classici, rivede le verità scritte dai vincitori, come nella Frontiera americana