La rivoluzione digitale ha cambiato la nostra vita (e Kafka l’aveva previsto)
Non c’è un momento della nostra vita che non venga documentato: passeggiando veniamo filmati da telecamere, tracciati con il GPS, monitorati dai telefoni che teniamo in tasca. Ogni sito internet che visitiamo, ogni tasto che tocchiamo viene archiviato. Ora le reti di affinità sono mappate da software che creano tabulati e rimandi tra quello che compriamo e i nostri conoscenti, e quello che loro comprano, o che gli piace, e con gli altri oggetti che piacciono o vengono comprati da altre persone che non conosciamo, ma che hanno modelli di gusto e di acquisto in comune con noi. E in tutto questo dove si colloca l’antropologo, o lo scrittore? O il cittadino, se è per questo? Forse queste domande in realtà coincidono. Quello che mi affascina, in quanto scrittore, nell’ascesa della cultura digitale e dei regimi di sorveglianza estrema che implica, non è tanto il vecchio adagio che tutta la letteratura è politica, ma piuttosto il contrario; è la politica a diventare una questione letteraria. Letteraria nel senso che la vita pubblica — e privata — si ritrova governata dalla propria trascrizione: quando tutto viene annotato in un registro di qualche tipo, allora l’esperienza in quanto tale, e con essa il problema del libero agente (siamo padroni di noi stessi? O tutti i nostri gesti e le decisioni sono governati e decisi dagli algoritmi?), si riducono a istanze e atti di scrittura.
Kafka aveva previsto tutto questo. Nel suo racconto Nella colonia penale immaginò un gigantesco macchinario a cui i prigionieri vengono legati, e che incide loro nella carne le parole della legge ,« Sii giusto », in iterazioni di un’ auto int rospetti vità grottesca. Secondo il filosofo Michel de Certeau viviamo tutti dentro quel macchinario: nel capitalismo, sostiene, tutti i corpi «vengono quindi trasformati in testi, in aderenza al desiderio che ha l’occidente di leggere i propri prodotti». Se volete vedere l’ultima apparizione del macchinario, guardate la famosa foto della sede Nsa nel Maryland scattata da Trevor Paglen. È una colossale scatola nera, che contiene registrazioni di… praticamente tutto. Questo è il Libro della modernità liquida: ma chi è in grado di leggerlo?