Le spine della diarchia
Itempi dell’esecutivo e le diffidenze europee, ecco tutte le spine di una «diarchia» Di Maio-salvini che segnerebbe un passaggio storico nel sistema politico.
Èindubbio che una «diarchia» Di Maio-salvini segnerebbe un passaggio storico nel sistema politico. L’ipotesi sempre più concreta di un governo tra M5S e Lega prefigura un esperimento unico nel panorama europeo: soprattutto per le incognite che porta con sé. Per quanto laborioso, con vertici a ripetizione e rinvii, il «contratto» tra loro sarebbe quasi pronto. Eppure, non si conosce ancora il nome di compromesso per Palazzo Chigi che Luigi Di Maio, capo del M5S, e Matteo Salvini, leader della Lega, proporranno oggi a Sergio Mattarella. Il presidente della Repubblica ha concesso molto, in termini di tempo e di pazienza, alle forze percepite come vincitrici, e convinte di esserlo. L’ipotesi concreta che diventi premier «un terzo candidato», sebbene «politico e non tecnico», conferma però la loro vittoria dimezzata.
La residua cautela di Di Maio e di Salvini è un atto di realismo. Entrambi sanno che Mattarella eserciterà appieno i suoi poteri, compreso quello di non accettare a scatola chiusa il «loro» presidente del Consiglio. Avere assecondato il principio secondo il quale a formare una maggioranza devono essere i «quasi vincitori» rafforza il Quirinale. E disarma quanti, finora all’opposizione, hanno descritto il Quirinale degli ultimi anni come un’istituzione che mandava a Palazzo Chigi personaggi non eletti; comunque senza consenso
L’orizzonte M5S vorrebbe una figura che proietti il governo oltre le Europee del 2019
popolare. Quella che alcuni hanno descritto come cedevolezza, in realtà è servita a costruire un rapporto di fiducia e a pretendere una risposta, nel momento in cui le trattative sono diventate schermaglie inconcludenti.
L’impressione è che il saldo di questo lungo dopoelezioni possa dunque essere un epilogo che toglie pretesti a quanti sono cresciuti attaccando «il sistema»; e punta invece a coinvolgerli e a responsabilizzarli. Non si tratta di un’operazione facile. Quando oggi Di
Maio e Salvini andranno con le delegazioni di M5S e Lega a colloquio dal capo dello Stato, suggerendo una soluzione che comprende anche la loro presenza nell’esecutivo, sanno che Mattarella li ascolterà con attenzione. Ma poi discuterà la lista dei possibili ministri con l’eventuale presidente incaricato, e non con i due «contraenti». E si sentirà in dovere di evidenziare le implicazioni di alcune scelte.
Dietro ha l’italia e l’europa che osservano con diffidenza la prospettiva di un esecutivo composto da formazioni considerate «populiste»; e che guardano al Quirinale come garante di una transizione tale da scongiurare un deragliamento sia nelle alleanze internazionali, sia negli impegni finanziari. Per questo, i vertici a Roma e poi a Milano hanno trasmesso una sensazione di corsa a ostacoli anche affannosa. Il primo ostacolo era certamente il profilo del capo del governo. Tra Cinque Stelle e Lega, si è avvertita una differenza sul modo di interpretarlo: nel senso che Salvini, si diceva, puntava a un profilo più «economico» e attento agli impulsi della maggioranza e del centrodestra.
Di Maio, invece, puntava su una personalità di formazione anche giuridica, in grado di proiettare il governo oltre le elezioni europee del 2019; e soprattutto di essere accettata dal Quirinale. Fino a ieri sera, i due profili non si erano saldati. D’altronde, anche su Mattarella i giudizi dei «diarchi» sono diversi. Il M5S lo definisce in privato «il nostro Jedi». Allusione al cavaliere che difende pace e giustizia nel film di fantascienza Guerre Stellari: anche se l’idea di approvare il programma di governo con il voto digitale degli iscritti è quasi offensiva. La Lega, invece, osserva il capo dello Stato con un misto di timore e di insofferenza. Le voci su un Quirinale attento alle riserve internazionali su Salvini e critico sulle posizioni «sovraniste», fotografano un rapporto tormentato.
In più, e qui affiora l’altro scoglio, nelle oscillazioni leghiste delle settimane passate si intravedono le divisioni che attraversano il centrodestra. Sono state aspre quando il M5S ha messo e mantenuto un veto su Silvio Berlusconi. Ma si ripropongono in forma ambigua e insidiosa per il Carroccio, ora che il leader di FI è stato riabilitato dalla magistratura e può ricandidarsi in Parlamento. I berlusconiani assicurano che non cambia nulla. Ma non è così. Nel centrodestra si accusa Mattarella di non avere dato l’incarico a un suo esponente; e questo può complicare la posizione leghista al governo e in Parlamento. Ormai, però, tornare indietro appare difficile. E se la «diarchia» nascente Di Maio-salvini dovesse naufragare in extremis, non sarà facile scaricare le colpe su altri.
Le divisioni
Sulla Lega pesano le divisioni che attraversano tutto il centrodestra