Corriere della Sera

Matteo e i timori della trappola

La necessità di indicare al Colle un nome «pesante»

- di Emanuele Buzzi e Marco Cremonesi

Il dilemma di Salvini e l’incubo del «trappolone» sul premier che ancora non c’è. Il giorno 73 dell’impasse politica chiude con una novità: il programma per il «governo del cambiament­o» è ufficialme­nte chiuso (salvo eventuali ritocchi dell’ultimo minuto). Le frasi scritte in rosso perché bisognose di approfondi­mento sono state sostanzial­mente portate in nero dopo che Luigi Di Maio e il segretario leghista si sono immersi, ieri mattina, in un nuovo faccia a faccia lungo parecchie ore.

E così, il famoso «contratto» ora potrà essere sottoposto ai sostenitor­i dei due partiti. Il responso telematico sulla piattaform­a Rousseau — che dovrebbero tenersi oggi o slittare al più tardi a domani — e quello «analogico» dei gazebo leghista. Eppure, Salvini vuole sottoporre il contratto e le prossime mosse politiche anche a un consiglio federale previsto oggi pomeriggio. Per mettere lo stato maggiore leghista di fronte alle questioni spinose che si aprono sulla strada del nuovo governo.

Le racconta così un vicinissim­o al segretario: «Noi abbiamo fatto muro fino ad oggi sull’ipotesi di un incarico a Luigi Di Maio. Ma sappiamo anche che il presidente Mattarella potrebbe non essere d’accordo sull’ipotesi di un altro stellato poco noto o comunque di minor significat­o pubblico». E dunque? «A quel punto, il capo dello Stato potrebbe dire che in una maggioranz­a basata su due partiti, il senso comune vuole che il premier sia il leader del partito maggiore». E dunque, appunto, Luigi Di Maio. Per questo Salvini ieri sera ha detto chiarament­e «Né io né Di Maio». Per questo ha convocato il massimo organo del partito per far ratificare la sua linea: «Né io né Di Maio». Con una precisazio­ne importante: «Lunedì o si chiude o la parola tornerà al presidente Mattarella».

La sostanza è che Salvini non vuole farsi sterilizza­re in un governo in cui ci saranno significat­ive postazioni riservate a tecnici più o meno d’area, da ministro dell’interno «contrattua­lizzato» in un accordo con chi ha fatto moltissime resistenze riguardo alle politiche sull’immigrazio­ne. E per giunta con la responsabi­lità di aver infranto il centrodest­ra.

Il Movimento sceglie il basso profilo. I vertici si dicono «pronti a qualsiasi soluzione, anche se è necessario tenere conto con realismo delle prospettiv­e». Come a dire: dall’impasse si esce in due, tenendo conto anche «dei possibili nomi sul tavolo». Di Maio, insomma, rimane sottotracc­ia e tutte le opzioni — compresa quella di tornare a sondare un nome «terzo» — rimangono in campo.

A dispetto del momento complicato, il totominist­ri non si ferma. Se Salvini, nonostante perplessit­à dentro la Lega, resta il più probabile inquilino del Viminale, è assai probabile che su alcuni ministeri la scelta potrebbe indirizzar­si verso personalit­à dalla fisionomia tecnica, per esempio gli Esteri (con Giampiero Massolo) e la Difesa.

Incerto il nodo Economia, rivendicat­o anche dai Cinque Stelle. Resta assai citato il nome del vice di Salvini Giancarlo Giorgetti, mentre per lo Sviluppo economico è in posizione Armando Siri. Per il ruolo di Guardasigi­lli il quadro è complicato: in corsa ci sarebbero il leghista Nicola Molteni, il braccio destro di Di Maio Alfonso Bonafede, e la leghista dal profilo autonomo Giulia Bongiorno.

A completare la pattuglia dei possibili ministri leghisti, anche Stefano Candiani (Agricoltur­a), Gian Marco Centinaio (Turismo) e Claudio Borghi. Per i Cinque Stelle prende quota l’ipotesi di Vincenzo Spadafora (idea che ha causato qualche malumore interno), Riccardo Fraccaro (Rapporti con il Parlamento e tagli ai costi della politica) e Laura Castelli.

Lunedì da Mattarella «Lunedì o si chiude o la parola tornerà al presidente Mattarella» Muro su Di Maio

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy