«Whitney subì abusi dalla cugina Dee Dee Warwick»
● Dee Dee Warwick (1945-2008) è stata una cantante soul, sorella di Dionne Warwick. Nel documentario è accusata di molestie CANNES Segreti e bugie. E una voce incantevole, coltivata fin da bambina sotto la guida della madre Cissy nel coro gospel della New Hope Baptist Church di Newark. Sono gli ingredienti di Whitney di Kevin Macdonald, già regista di documentari su Mick Jagger e Bob Marley, presentato ieri a Cannes 71 fuori concorso.
Due ore di film che ricostruiscono la folgorante parabola della popstar da 200 milioni di copie vendute. A sei anni dalla morte — il 19 febbraio 2012, a 48 anni, annegata nella vasca da bagno di un albergo di Beverly Hills — Whitney Houston conserva diversi record, i 22 American Music Award vinti, il singolo più venduto di sempre da una donna, I Will Always Love You, dal film che fece di lei una star, The Bodyguard con Kevin Costner.
«Un viaggio pieno di scoperte, come una detective story», ha spiegato Macdonald che, oltre a materiale inedito, demo, interviste, filmati, ha potuto contare sulla collaborazione e i racconti, talora drammatici, di famiglia e amici. Sono loro, in un misto di sincerità e autoassoluzione, a svelare particolari terribili. Come gli abusi che la piccola Nippy, così l’aveva soprannominata il padre, subì dalla cugina Dee Dee Warwick, sorella di Dionne. Cantante anche lei, morta nel 2008. Una violenza terribile, che, il regista ne è convinto, segnerà la vita sentimentale.
«Era fluida», ricorda un amico. Un modo per dire che cercò l’amore dove poteva, fossero i flirt da rotocalco, con Eddie Murphy o Robert De Niro, o il legame profondo con Robyn Crawford che le fu amica, amante, collaboratrice. Sono sempre parenti e amici a ricostruire la biografia. La fama improvvisa, il divorzio dei genitori, Cissy, corista di Aretha Franklin e il padre John, che arrivò a intentarle una causa miliardaria, il matrimonio con Bobby Brown, sempre più invidioso dei suoi successi, la nascita e la morte, tre anni dopo Whitney, della figlia Bobby Kristina, la dipendenza dalla droga.
Su tutto la sua voce. «Era se stessa solo mentre cantava» dice Macdonald. Basta rivederla alle prese con l’inno americano al Superbowl 1991, o tre anni dopo, al concerto nella Johannesburg postapartheid con Nelson Mandela che le asciuga le lacrime per dargli ragione.
Detective
L’autore Mcdonald: mi sono mosso come un detective, quando era piccola fu molestata