Le ambizioni della Russia con «Aika»
Confesso la mia inadeguatezza. Di fronte a Un Couteau dans le coeur (Un coltello nel cuore) rimango senza parole e senza argomenti: il film di Yann Gonzales che completa il quartetto di film francesi in concorso mi è sembrato di una tale nullità da togliermi ogni velleità critica. Tutto gira intorno ad Anne (Vanessa Paradis), produttrice di film porno gay nella Parigi del 1979: sta finendo dolorosamente la relazione che ha con la sua montatrice (Kate Moran) mentre un assassino uccide uno dopo l’altro gli attori che hanno lavorato con lei. La soluzione del giallo, tanto insensata quanto gratuita, esclude ogni possibile ambizione metaforica (l’assassino simboleggia l’aids? Il cinema uccide i suoi protagonisti?) e lascia lo spettatore a scervellarsi con noiosi spezzoni fintamente hard e una recitazione molto sotto il livello di guardia, con tutto il campionario di mossette che dovrebbe caratterizzare i gay. Mentre la Paradis, che non è certo Sarah Bernhardt, è imbruttita e costretta a dire battute di rara vuotezza. Decisamente la madre di tutte le bufale! Diverse le ambizioni del film russo di Sergej Dvortsevoy, che si era già fatto notare con Tulpan (2008). In Ayka pedina una donna dentro una Mosca inospitale. Nella prima scena abbandona il figlio appena avuto in ospedale per tornare a cercare il lavoro che il parto le aveva fatto perdere: ha un debito da saldare ma andrà incontro a una serie di fallimenti, aggravati dal suo stato di salute. Il film si incarica di sbriciolare il mito di Mosca come terra di ricchezza, mentre la protagonista passa da uno squallore a un altro, tra dormitori per chi come lei non ha permessi di lavoro. Sempre con la macchina da presa addosso, Samal Yesyamova regge sulle sue spalle il film che però rischia di rivelarsi l’ennesima vuota «prova d’autore», tecnicamente ineccepibile ma senza una vera necessità espressiva.