Lo spettacolo tremendo e primitivo della fatica
Il Giro è bello sempre, certo, e nella varietà delle tappe sta gran parte del suo fascino: un giorno ci emoziona la furia della volata, un altro il brivido delle discese, un altro ancora la potenza rigorosa della prova a cronometro. Poi però arriva lo Zoncolan, e il resto scompare. I fotofinish, i distacchi minimi in classifica, sono emozioni fatte di millimetri e secondi schiacciate sotto i 1750 metri di questo mostro aguzzo e crudele, che sta lassù aspettando di vedere come faranno i corridori ad arrivargli in cima. Il primo tratto ti guarda subito dritto negli occhi, ma se ti sorride non ti fidare, è solo un ghigno di sadica attesa prima che la strada abbandoni gli ultimi barlumi di ragione e addio. Da qui si decolla verso muri di asfalto, dove la pendenza supera il 20 per cento e la scelta più sensata sarebbe scendere di sella, perché restare in equilibrio diventa difficile, e a piedi si salirebbe più velocemente. Quassù insomma la bicicletta perde il suo senso logico e la sua funzione originaria: il velocipede diventa più lento del piede. Ma è proprio qui, quando il buon senso, il dolore dei muscoli e il cuore in gola ti urlano di fermarti, che insistere sui pedali smette di essere una corsa e diventa un volo scellerato e magnifico verso i cieli della leggenda. In questo, nella sua mastodontica follia, sta la magia dello Zoncolan. Lo sanno i corridori, che saliranno così piano da non avere nemmeno il sollievo della brezza sul viso. Lo sanno i tifosi, che invece di vederli sfrecciare come fulmini colorati potranno studiare una a una le loro maschere di dolore, gridandogli nelle orecchie di non arrendersi, di non scendere dalla bici, di resistere alle gelide tentazioni della logica, della prudenza, di quella mediocrità spigolosa che riempie troppa parte delle nostre vite, e che invece oggi dobbiamo scacciare via dalla festa del cuore come i becchini da un matrimonio. Per essere lassù, quegli stessi tifosi sono partiti in bici all’alba o si sono accampati sul monte da giorni, affrontando fatiche che in altri sport non vengono conosciute nemmeno dai campioni in gara. Ma il ciclismo è questo, è lo spettacolo tremendo e primitivo della fatica, che in questa nostra epoca tecnologica, informatizzata e giudiziosa è davvero l’avventura più fantascientifica che esista. E lo Zoncolan è il suo scenario perfetto, un pianeta lontano e terribile lassù, povero di ossigeno e con leggi di gravità spietate, dove i corridori-astronauti che provano ad alzarsi sui pedali rischiano di ribaltarsi. Ecco perché la tappa di oggi non dovrebbero darla solo in tv, ma pure al cinema. E dovremmo andare tutti, e portare pure i bambini. Per emozionarci insieme e ricordarci che ogni tanto, in certi giorni sublimi e micidiali, più incredibili delle guerre stellari, dei robot e dei supereroi, possono brillare le imprese degli uomini veri.