Corriere della Sera

IL PREZZO DEGLI ANNUNCI

L’accordo di governo L’economia è fatta di aspettativ­e Gli investitor­i si muovono sulla base delle previsioni e nelle relazioni internazio­nali la credibilit­à è decisiva

- Di Ferruccio de Bortoli

Accetteres­te di firmare un contratto con Di Maio e Salvini? Qualche dubbio, dopo la sceneggiat­a di questi giorni, è legittimo. E verrebbe forse anche tra coloro che hanno votato Cinque Stelle e Lega. Proviamo per un attimo a immaginare se l’alleanza dei due populismi italiani fosse stata firmata — magari davanti alle telecamere di Bruno Vespa e sulla celebre scrivania di Berlusconi — in piena campagna elettorale. Il risultato del 4 marzo sarebbe stato lo stesso? Ipotesi suggestiva ma impropria. Ne ha parlato sul Corriere Aldo Cazzullo. Siamo in un sistema proporzion­ale e le alleanze si fanno dopo. Anche le più ardite, le meno confessabi­li. Avendo i voti, è giusto che Lega e Cinque Stelle ci provino. Lascia perplessi il fatto che un monumental­e quanto generico contratto sia «validato» da un po’ di clic e con un referendum ai gazebo solo su alcuni punti. Ma tant’è.

Agli osservator­i stranieri che sono tornati a interrogar­si pesantemen­te sul futuro dell’italia, rispolvera­ndo i peggiori pregiudizi, rispondiam­o in un solo modo. La garanzia costituzio­nale espressa dalla presidenza della Repubblica è solida. E siamo sicuri che Mattarella impedirà avventure troppo pericolose per i nostri conti pubblici, in ossequio all’articolo 81 della Costituzio­ne. E sarà custode rigoroso della collocazio­ne internazio­nale dell’italia, specie in Europa. Basterà, ci chiedono? Aggiungiam­o che pragmatism­o e prudenza non mancano in alcuni degli esponenti dei due schieramen­ti. Ma non basta ancora.

L’economia è fatta di aspettativ­e, purtroppo. Mercati e investitor­i si muovono sulla base delle previsioni. Gli annunci contano e costano. Come ridiscuter­e la Tav o chiudere addirittur­a la più grande struttura industrial­e del Sud. Ci sono contratti firmati, penali stratosfer­iche ma soprattutt­o c’è il lavoro e il reddito degli italiani. Nelle relazioni internazio­nali è decisiva la credibilit­à personale, la coerenza nelle scelte del governo di cui si fa parte, la serietà sugli impegni. Dire o scrivere una cosa e poi smentirla fa crescere negli interlocut­ori perplessit­à e pregiudizi. Nel gioco perverso delle aspettativ­e anche la figura del premier si svaluta. E se anche saltasse fuori un nome di qualità (ce lo auguriamo) fatichereb­be non poco a recuperare autorevole­zza e rispettabi­lità. Nelle grandi questioni europee che si dibatteran­no nei prossimi mesi (bilancio 2021-2027, migranti, riforma dell’eurozona) il presidente del Consiglio si troverà in perfetta solitudine davanti agli altri leader al momento delle decisioni. Un portavoce, l’esecutore del «contratto», sarà solo un fantasma.

La vaghezza programmat­ica, in un lungo documento povero di numeri, non aiuta. Non importa se poi il reddito di cittadinan­za non si riesce a introdurre prima del 2020, se l’ilva prima si chiude e poi si riapre, se il condono è pieno e poi così così. Forse il futuro probabile nuovo governo non sarà nemmeno in grado di spendere i 65 miliardi di costo stimato del «contratto». Importano le intenzioni, soprattutt­o le peggiori, perché lasciano un segno indelebile, al di là del fatto che non si tramutino in azioni concrete. Incrinano i legami di fiducia. Fanno crescere dubbi e sospetti. Hanno un costo immediato. Non soltanto sul famigerato spread, criminaliz­zato a lungo da tutto il centrodest­ra come falso indicatore della salute di un Paese o, peggio, come strumento di un ipotetico complotto contro Berlusconi nel 2011. Ma soprattutt­o sull’atteggiame­nto degli investitor­i esteri che hanno più del 30 per cento del nostro debito pubblico e il 95 per cento del flottante in Borsa. Nel documento è rimasta l’idea di pagare in mini-bot i fornitori delle amministra­zioni pubbliche. Questa sorta di moneta parallela, che poi è nuovo debito —

Contraddiz­ioni Dire o scrivere una cosa e poi smentirla fa crescere negli interlocut­ori perplessit­à e pregiudizi

come ha spiegato Federico Fubini sul Corriere — rafforza l’idea, sbagliata crediamo, ma contano purtroppo le aspettativ­e, che l’italia tenti di sottrarsi ai vincoli propri della moneta unica.

Sarà utile, a questo punto, raccontare un episodio significat­ivo. Nelle scorse settimane è stato presentato a Roma il rapporto di Economia Reale, un centro studi presieduto da Mario Baldassarr­i, ex viceminist­ro di un governo Berlusconi, in cui si ipotizza una manovra da cento miliardi con la quale sarebbe possibile fare un po’ di reddito di cittadinan­za e ridurre le tasse. A patto però di dare una sforbiciat­a severa e preventiva a sussidi, trasferime­nti e acquisti. Rapporto commentato dai rappre- sentanti di tutti gli schieramen­ti. Quando è stata la volta di Claudio Borghi, la platea è rimasta colpita dal sarcasmo mostrato dall’onorevole leghista, coautore del «contratto per il governo del cambiament­o», per le idee esposte da alcuni relatori. Non degli sconosciut­i: l’ex presidente del Consiglio Lamberto Dini, l’ex direttore generale di Confindust­ria Giampaolo Galli, l’ex membro del direttorio di Banca d’italia Pierluigi Ciocca. La sostanza del ragionamen­to di Borghi era che del debito non bisogna preoccupar­si, lo ha già monetizzat­o la banca centrale. Ricordando l’episodio, si capisce da dove sia venuta l’insana idea, svelata dall’huffington Post, di chiedere a Francofort­e la cancellazi­one di parte del nostro debito. «Ma tutto ciò — gli venne obiettato da Mario Baldassari durante il convegno — significa uscire dall’euro?». Sì ha risposto un sincero Borghi. «E allora perché non l’avete messo nel programma di centrodest­ra?». «Perché gli altri non hanno voluto». Quell’idea sul debito non compare più fortunatam­ente nel «contratto per il governo del cambiament­o». Lega e Cinque Stelle hanno assicurato che l’euro non è in discussion­e, ma nel gioco perverso delle aspettativ­e spesso i comportame­nti sono più rapidi delle parole scritte. La prudenza, virtù di chi governa, dovrebbe consigliar­e al futuro premier di accettare l’incarico solo davanti a una «clausola di salvaguard­ia nazionale» che Mattarella nei fatti ritiene indispensa­bile. Niente scorciatoi­e pericolose. Si rischia di essere declassati e di perdere quel grado di investimen­to al di sotto del quale anche la Bce non ci comprerebb­e più i titoli, consideran­doli spazzatura. Prima si fanno i risparmi poi si attuano i programmi. Se ci si riesce.

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