Marcello e Alice L’italia che vince
Doppietta con il Canaro di Garrone e la sceneggiatura di Rohrwacher Palma d’oro al dramma giapponese
e Marcello Fonte miglior attore e Alice Rohrwacher, miglior sceneggiatura: due italiani sul podio di Cannes. Palma d’oro al giapponese Hirokazu Kore-eda.
CANNES L’italia c’è e batte due colpi al festival. Marcello Fonte che Matteo Garrone ha pescato per Dogman mentre faceva il guardiano in un centro sociale, si offre col suo candore e la sua umiltà mentre Roberto Benigni gli dà la Palma per quel personaggio umiliato che diventa il torturatore del suo carnefice, mantenendo la sua umanità dolente: «Oddio, la prendo? Da piccolo quando ero a casa e pioveva, sopra le lamiere della baracca chiudevo gli occhi e sentivo gli applausi, ora li apro e quegli applausi siete voi, mi sento a casa e a mio agio». Alice Rohrwacher in ex aequo con Panahi vince come migliore sceneggiatrice di Lazzaro Felice, la sua favola contadina: «Ringrazio chi ha preso seriamente queste mie parole scritte, come i bambini prendono seriamente i giochi». La Palma d’oro al giapponese Hirokazu Kore-eda con Shoplifters, Gran premio della giuria a Spike Lee (Blackkklansman), alla sua quinta presenza il regista col dito puntato riceve il suo primo riconoscimento: «Lo dedico agli afroamericani di Brooklyn. Tutti mi chiedono cosa penso di Trump. Lo dico nel film».
Ma il premio «politicamente» più importante va a Nadine Labaki, (era dal ’91 che mancava un film libanese in gara), Gran Premio della Giuria con un film toccante per il pubblico, 15 minuti di applausi, su tutti i temi delle emergenze: miseria, adolescenti
evendute, migrazione, solidarietà tra i poveri che è l’unica ad arrivare: «Un film deve divertire e far riflettere. Zain, il mio giovane attore deve poter andare a scuola. L’infanzia maltrattata è alla base dei mali del mondo, uniamoci per una soluzione. Dedico il premio anche al mio Paese, che malgrado i problemi combatte come può, e accoglie il più alto numero di rifugiati».
Prende il microfono Asia Argento (premia la migliore attrice, Samal Yeslyamova): «Nel 1997 sono stata violentata da Weinstein, faccio una predizione: non lavorerà più». La questione femminile e le sopraffazioni sono riassunte nella frase cult di Cold War di Pawel Pawlikowski (migliore regista su una coppia che si rincorre nella Polonia della guerra fredda), quando la protagonista svela molestie subite dal padre: «Mi ha preso per mia madre, così ho preso il coltello per fargli capire la differenza».
Chiude il Festival della presidente Cate Blanchett che ha trasformato Cannes in La città delle donne, cominciando dalla marcia delle 82 registe e attrici per la parità salariale ma non solo. Nella storia della manifestazione solo un quinto dei membri della giuria è stato donna; 12 le presidenti, la prima volta nel ’65 con Olivia de Havilland.
Dopo la cerimonia, in un’edizione dove le stelle hanno brillato per la loro assenza, c’è Sting (con Shaggy) che canta fuori del Palazzo. Nadine Labaki lo indica al suo Zain, il bambino profugo siriano senza documenti che ricorda il kid di Chaplin. Festival smemorato con due maestri del cinema italiano dai sorrisi timidi appena scomparsi, il poeta rigoroso Vittorio Taviani e Ermanno Olmi che quando passava davanti a un albero di mandorle in fiore si toglieva il cappello. Dimenticati a Cannes, dove trionfarono, e mai ricordati.
Antirazzista Premiati Spike Lee con la storia antirazzista «Blackkklansman» e la libanese Labaki