Gospel, danze e sermone: le nozze rivoluzionarie
Cori gospel e sermoni stile Harlem, il «sì» in una cerimonia mai vista prima Così la sposa ha «rubato» la scena
Meghan e Harry, un «sì» che ha cancellato la tradizione, un’ora che vale un salto di secoli. La sposa, sicura di sé, sola verso l’altare, i cori gospel e i sermoni stile Harlem del reverendo nero americano. Harry tirato, in attesa. La regina in giallo e tanti vip.
La Tradizione giace a pezzi nella cappella di San Giorgio a Windsor. Demolita da una cerimonia nuziale che è durata sessanta minuti esatti, ma che ha rappresentato un salto di secoli. I portavoce di Kensington Palace, qualche settimana fa, avevano avvertito: sarà un matrimonio nel solco della tradizione, assicuravano, ma che rifletterà la personalità degli sposi. E tuttavia era difficile aspettarsi quello che poi si è realmente verificato.
L’ingresso solitario di Meghan Markle in chiesa è stato solo un assaggio. Ma comunque ha prodotto un primo effetto: una donna libera che attraversa la navata senza un uomo a scortarla, diretta verso l'altare. Certo, è stato il risultato dello scandalo che ha travolto il padre nei giorni scorsi e che lo ha costretto a rinunciare ad accompagnare la figlia: ma comunque Meghan ha ottenuto che il principe Carlo, il padre dello sposo, la prendesse in consegna solo all’altezza del coro, per fare con lei gli ultimi passi.
E tanto appariva sicura di sé la sposa, tanto si mostrava nervoso e tirato Harry, in attesa all’altare. Al suo fianco il fratello William, il testimone, molto più rilassato, quasi divertito dal ruolo, provava a sciogliere la tensione sussurrandogli qualche battuta all’orecchio. Ma Harry si è aperto in un sorriso solo quando ha visto comparire Meghan, radiosa nel suo abito dallo strascico lunghissimo.
Da quel momento in poi la formalità del rito ha cominciato a incresparsi, con gli sposi che si tenevano per mano durante gran parte della cerimonia. E quando il sacerdote chiede loro se ci siano ragioni nascoste per impedire le nozze, Harry guarda Meghan e scoppia a ridere. Come una risata accompagna il sì, I will, pronunciato dallo sposo. Un’atmosfera di grande complicità della giovane coppia, che ha finito per sdrammatizzare tutta la circostanza.
Ma il bello doveva ancora venire. Perché il protagonista della cerimonia, quello che ha rubato il palcoscenico, si è rivelato il reverendo nero americano Michael Curry, capo della Chiesa episcopale Usa, scelto da Meghan per pronunciare l’omelia: che si è trasformata in un infuocato sermone che non avrebbe sfigurato in una chiesa di Harlem. Il sacerdote si è accalorato, agitato, quasi dimenato, citando gli schiavi africani e Martin Luther King.
Le facce allibite degli invitati inglesi, molti dell’aristocrazia, dicevano tutto: la cappella di Windsor, cuore della tradizione reale, non aveva mai visto nulla del genere. A un certo punto la regina ha alzato le spalle in un singulto, mentre al suo fianco Filippo fissava attonito. Camilla e Kate erano a bocca aperta e perfino gli angoli delle labbra di Elton John viravano all’ingiù. Pure Harry a un certo punto non sapeva più da che parte guardare: solo Meghan appariva compiaciuta, mentre sua madre Doria, che prima era apparsa commossa, annuiva dal suo scran-
no. Ma non era finita lì: perché al sermone «Harlem style» è seguito un coro gospel afroamericano, che ha intonato «Stand by me» accennando passi di danza: anche questa una scelta di Meghan.
E infine lo scambio dei voti nuziali. Dove gli sposi hanno lasciato cadere i nomi ufficiali e si sono attenuti a quelli pop. Meghan non ha chiamato il marito «Henry Charles Albert David», come avrebbe dovuto, ma semplicemente: Harry. E lui non ha usato «Rachel Meghan», come da certificato di nascita, ma soltanto Meghan, come da nome di scena.
È vero, a fare da cornice c’erano le musiche barocche e il tutto si è chiuso con la congregazione che intonava «God Save the Queen». Ma ormai c’è un prima e un dopo questa cerimonia: e quello che si è intravisto è il futuro della monarchia britannica, che nasce nel segno di Meghan Markle. Una monarchia meticcia e multiculturale, simboleggiata dalla foto finale sui gradini della chiesa, con la nera Doria a fianco del principe Carlo.
Anche la folla che ha acclamato gli sposi durante la processione in carrozza per le strade di Windsor era giovane e multicolore. Arrivando nella cittadina mescolati al fiume umano, si aveva la sensazione di andare a un concertone pop, non a un raduno di nostalgici della monarchia. Tantissimi i ragazzi, e le ragazze con le magliette «Harry, sposa me!». E poi la gente vestita come se fosse stata invitata alla cerimonia, con tacchi e cappellini: perché questo era un «matrimonio del popolo». Nulla a che vedere con le nozze di Carlo e Diana e neppure con quelle, più recenti, di William e Kate, ingessate nella loro correttezza istituzionale.
Lungo il percorso un gruppo di donne afro-americane aveva issato un cartello: «L’america approva questo matrimonio». L’arrivo di Meghan cambierà qualcosa anche per voi? «Non lo so — dice una di loro — ma è una luce di speranza».