«Debito, l’impegno non può fermarsi»
Iacovoni (Tesoro): lievi ritocchi sui tassi, c’è l’interesse degli investitori
I l debito italiano è sotto controllo, ma la stella polare è ridurlo: Davide Iacovoni, direttore del Tesoro, in un’intervista al Corriere ricorda che emerge un interesse a investire nei nostri titoli.
ROMA Il banco di prova sono state le ultime tre giornate. Archiviate con una serie di scossoni sul fronte del differenziale tra titoli italiani e quelli tedeschi. Lo spread è balzato da quota 130 a 165 in tre sedute, segnando i massimi da ottobre ed evidenziando che la temperatura della speculazione sul fronte del debito sovrano può salire in modo fulmineo. A misurarne l’andamento è Davide Iacovoni, dal febbraio scorso alla guida della direzione generale del Tesoro che gestisce il debito pubblico italiano. Quale bilancio fa dell’ultima emissione del Btp Italia?
«Un bilancio positivo sotto molteplici aspetti. Tanto più
tenuto conto che c’erano alcune variabili, come il fatto che abbiamo proposto un’asta con titoli a scadenza di 8 anni. Una durata inusuale per il mercato retail. L’altro fattore è che non avevamo altri titoli in scadenza, cioè a dire abbiamo chiesto nuova liquidità».
Il mercato, insomma, ha risposto secondo le aspettative?
«Mi sento di dire assolutamente sì, va aggiunto, tra l’altro, che nell’ultimo giorno dedicato al settore retail e nella seduta riservata all’asta riservata agli investitori istituzionali c’è stata turbolenza sui mercati».
Le ultime ore, non a caso, segnalano lo spread a quota 165. I costi di raccolta sostenuti dall’italia per finanziarsi potrebbero rivelarsi più elevati rispetto al passato?
«Osservando l’esito del collocamento del Btp Italia, che prevedeva un tasso minimo dello 0,40%, si ha l’evidenza che le turbolenze hanno avuto un peso di circa 15 punti base. Un effetto che come stabilito in anticipo, ha reso necessario riadeguare la cedola, portandola da 0,40% a 0,55%. Premessa ogni doverosa cautela è pacifico che se gli andamenti di questi giorni dovessero essere confermati, le prossime aste potrebbero risultare un po’ più care».
Il 73% dell’asta riservata agli istituzionali è stato assorbito dalla domanda domestica. Il dato è sensibilmente più alto della media
del 67% di debito pubblico in mano agli italiani. Vuol dire che gli stranieri si sono tenuti a distanza?
«Il dato del 73% è in linea con quello delle aste precedenti. Aggiungerei che si tratta di una percentuale appropriata, visto che si tratta di un titolo indicizzato all’inflazione italiana e destinato a un target tipicamente domestico». I mercati hanno smesso di essere accondiscendenti e
attendisti con l’italia?
«Sono giorni in cui la politica la fa da padrona, influenzando in qualche misura l’orientamento dei mercati. Ma dai nostri contatti e colloqui con grandi player e investitori emerge un interesse a investire in titoli italiani, senza ignorare che qualche ritocco sui tassi accordati può essere di ulteriore stimolo a sottoscrivere. Non ci sono, dunque, segnali particolarmente negativi».
Segnali
Dai nostri contatti con grandi operatori non emergono segnali particolarmente negativi
La politica può permettersi di trascurare la lezione del 2011?
«Direi di no. Nel senso che è chiaro che l’attenzione alla stabilizzazione del debito e alla riduzione del deficit devono restare una stella polare. Vorrei ricordare che agli occhi degli investitori e dei mercati è stata dimostrata l’efficacia del lavoro di messa in sicurezza del debito. Un impegno che ha dato risultati, consentendo con le necessarie accortezze di gestire la situazione attuale in relativa tranquillità».
Il rallentamento della fase espansiva del ciclo economico e la fine a medio termine del quantitative easing che effetti possono avere sull’equilibrio del debito italiano?
«Sul fronte della politica monetaria gli effetti sono gia misurabili e risultano trascurabili. Dallo scorso mese di gennaio la Bce ha già dimezzato l’acquisto su tutti i titoli di Stato senza conseguenze. Resta da definire quale atteggiamento intenda adottare la Bce in vista della conclusione del quantitative easing, ma va anche considerato che proprio nel 2019 e nel 2020 dovrebbero andare in scadenza alcune significative emissioni sottoscritte dalla Bce in passato. Ecco, quei soldi dovranno essere reimpiegati dalla Bce sul debito italiano, andando in qualche misura a contro bilanciare gli effetti della fine del Qe».