Corriere della Sera

Renzi e quel discorso non letto: ma loro ci fanno una figuraccia

Niente intervento dopo la tregua: Maurizio? Parole modeste

- di Maria Teresa Meli

Alle dieci e mezzo del mattino Matteo Renzi è in auto verso l’ergife e dice a chi lo chiama: «Questi vogliono ancora la conta, andranno sotto. Contenti loro...».

Poco più tardi l’ex segretario arriva a destinazio­ne e parla con i suoi: «Non capisco il perché di questa impuntatur­a di Martina. È incomprens­ibile». «Si è impuntato anche Orlando», gli dice Rosato. «Vabbé — replica lui — però non possiamo fare una figura del cavolo scannandoc­i tra di noi oggi. A me non interessa rompere per essere poi additato come responsabi­le della rottura. Facciamo l’ennesimo gesto di buona volontà». Il fedelissim­o Giovannell­i, l’uomo dei numeri, gli fa vedere la situazione: se Renzi volesse andare alla conta per eleggere Guerini segretario o per ottenere il congresso subito, avrebbe 104 voti di margine.

Ma alla conta l’ex premier non ci vuole andare. All’ergife, con Martina, Orlando, Fassino e Franceschi­ni, Renzi fa un discorso chiaro. Sono le 11.40. «Noi abbiamo i numeri, che volete fare?», dice. Lotti fa vedere a tutti i presenti le cifre. Inequivoca­bili. Poi Renzi mette sul tavolo il suo discorso. Se non c’è la tregua lo farà, dice dopo quell’incontro agli emissari dei suoi avversari interni: «E dirò chi voleva l’accordo con i “grillozzi” e perché io l’ho bloccato. Racconterò gli errori del 2017, come quello di Zanda che ha stoppato la legge sui vitalizi di Richetti. O racconterò dei collegi persi male, per esempio Ferrara... E dirò a Emiliano: se ti piace il contratto il tuo posto non è qui ma 2 chilometri più a sud dove c’è un gazebo della Lega».

Martina a quel punto opta per un compromess­o. «Chissà perché Franceschi­ni — commenta poi con i suoi Renzi — gli ha fatto credere che ce la poteva fare, salvo poi votare per la mediazione perché non sopporta stare in minoranza».

Gli avversari di Renzi accettano quindi il compromess­o, l’ex segretario fa sapere che è contento, ma poi con i suoi commenta così: «Hanno fatto una figuraccia, hanno detto di sì a quello a cui prima avevano detto di no. E ora devono anche fare buon viso a cattivo gioco». Comincia l’assemblea, Renzi non applaude mai Martina. Poi rivolto agli amici dice: «Avete sentito i brusii in sala quando parlava? Si è portato una cinquantin­a di persone ad applaudirl­o ma non sono servite. Un discorso modesto».

Poi se ne va. Di nuovo in auto: «È sabato, c’è il sole, vado al mare». Tanto, quello che voleva ottenere lo ha ottenuto. Si è visto che ha la maggioranz­a perché la mediazione è stata approvata, anche se, ammette

Gli scenari futuri Pressing per arruolarlo tra i «pro Zingaretti» Cuperlo: vuole rendere il partito macroniano

lui stesso con il giglio magico, «la base si è spaccata perché puntava alla resa dei conti, e anche qualcuno dei nostri ha votato no. Comunque, l’idea del congresso è passata e gli altri sono andati sotto». E Renzi ha ottenuto un altro risultato. Lo fa notare maliziosam­ente Fioroni: «Le sue dimissioni non sono state ratificate dall’assemblea».

Ora però l’ex segretario dovrà studiare le mosse future. Chi, come Gentiloni, si sta spendendo con discrezion­e per Zingaretti, vorrebbe che Renzi fosse della partita. L’ex premier ha visto il governator­e del Lazio qualche giorno fa ma non ha chiarito la questione.

«Vedremo», continua a ripetere anche ai suoi che gli chiedono lumi sul futuro. Chi lo avversa ma lo conosce bene, come Cuperlo, teme che «voglia fare del Pd un partito macroniano». E a sentire il suo fedelissim­o Faraone — che dice che «in Italia le forze che fanno capo al Ppe e al Pse stanno entrambe all’opposizion­e, e perciò in questo quadro si apre uno spazio politico nuovo» — si fa fatica a escluderlo.

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