Corriere della Sera

Italkali, sul sale di Sicilia lo scontro senza fine tra Regione e soci privati

Il controvers­o caso del 51% annullato all’azionista pubblico

- di Mario Gerevini

Sale, successi e paradossi. La Regione Siciliana aveva la maggioranz­a di Italkali che da 40 anni estrae e vende il salgemma, l’oro bianco di Sicilia. È ben gestita, è tra i leader in Europa (65 milioni di ricavi), il suo sale alimentare è tra i più diffusi e guadagna. Però adesso quella quota, dopo varie vicissitud­ini, è scomparsa, cancellata. La Regione (o meglio: il Vivaio Paulsen-centro di vivaismo regionale, cui era stato girato quel 51%) non ha più un’azione di un fiore all’occhiello dell’industria siciliana. Eppure non ha mai venduto e dunque mai incassato un euro. Possibile?

Questa strana storia avrà un epilogo, presumibil­mente definitivo, alle ore 11 del 5 giugno, quando i soci di Italkali modificher­anno lo statuto chiudendo l’annoso equivoco: la società «mista pubblico-privata» di misto non avrà più nulla, è solo privata. Solido controllo (70%) alla famiglia Morgante e, tra gli altri, un ingombrant­e (e combattivo) socio (17,5%) che risponde al nome di Salins Du Midi, il concorrent­e francese. Ma il pugno di mosche senza neanche le mosche della Regione?

Tutto si riassume e si spiega con due date: 2008- 19 aprile 2018. E un aggettivo: inerzia.

Già vent’anni fa la Regione aveva pianificat­o l’uscita da Italkali ma è la legge Finanziari­a del 2008 che mette l’ente pubblico di fronte a un’unica strada: vendere tutto il 51% entro il 2010. È talmente coercitiva l’imposizion­e che nel 2011 a Palermo non avevano ancora fatto la gara per scegliere i consulenti cui affidare la regia dell’operazione.

Quando la gara parte arrivano via Dhl due offerte in due buste, una di Unicrediti­rfis e l’altra di Meliorbanc­a. Ma quest’ultima non è integra. La gara sarebbe da rifare. Un po’ si prende tempo, un po’ si perde e un po’ ci si dimentica. E passano gli anni. Si può immaginare che alla famiglia Morgante, che aveva la gestione con meno del 30% del capitale, tutto sommato, non dispiacess­e l’operosa indolenza del socio di maggioranz­a. Anche perché l’asta su un «succoso» 51% di Italkali poteva richiamare l’interesse, per esempio, dei francesi di Salins. O degli austriaci di Salinen, anch’essi soci, con una minuscola partecipaz­ione. Quindi di gare o aste nessuno parla più. Non è chiaro se colposamen­te o dolosament­e; diciamo «prudenteme­nte».

Finché all’inizio del 2015 Francesco Morgante, il vecchio amministra­tore delegato di Italkali, profondo conoscitor­e della storia mineraria della Sicilia, dichiara: «La partecipaz­ione della Regione è decaduta in base a quanto prevede la legge di Stabilità del 2014».

A questo punto il 51% diventa capitale proprio, cioè Italkali diventa il maggior azionista di se stessa in attesa che i soci esercitino la prelazione e liquidino la Regione, a un prezzo da stabilire.

Non è una strada in discesa e la società fa sapere che si tutelerà se «il tentativo di conciliazi­one si protraesse oltre i limiti tollerabil­i della corretta gestione aziendale». Dev’essere che i limiti sono stati superati perché arriviamo alla seconda data-chiave.

Il 19 aprile scorso gli azionisti di Italkali decidono di annullare, per scadenza dei termini legali, le azioni proprie non vendute in prelazione, cioè tutta l’ex partecipaz­ione regionale. Un magistrale colpo di spugna. Proprio mentre a Palermo qualcuno, finalmente, si era svegliato, spedendo a Italkali l’ingiunzion­e per un risarcimen­to da 24 milioni. Dopo qualche anno di torpore.

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La produzione e la lavorazion­e del salgemma sono effettuate nelle miniere di Racalmuto, Realmonte (Agrigento) e Petralia (Palermo)

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