Corriere della Sera

Ima, gli acquisti all’estero chiave dello sviluppo E punta a raddoppiar­e ancora

Vacchi: la famiglia? Il migliore alleato. Ricavi 2018 a 1,55 miliardi

- Rita Querzè

BOLOGNA Tutto è partito da una bustina di idrolitina , la polverina che negli anni Sessanta ha fatto conoscere agli italiani il brivido delle bollicine.

Nonno Luigi Vacchi — che senza saperlo era una sorta di venture capitalist ante litteram, quinta elementare e sguardo che vede lontano — investiva i guadagni della sua attività nelle costruzion­i nelle piccole aziende del suo territorio (Bologna e dintorni) che stavano cavalcando l’onda del boom economico. È con questo spirito che nel 1963 rilevò una Ima ancora in fasce: l’azienda era nata solo due anni prima.

Il business consisteva nel produrre le macchine che confeziona­vano le bustine di idrolitina, appunto. Poi il giro d’affari si è allargato al tè, ai farmaci, ai dadi per fare il brodo, ai chewing-gum... L’elenco oggi sarebbe lunghissim­o. Anzi, potenzialm­ente infinito.

Perché Ima non produce più soltanto macchine per confeziona­re ma anche macchine per assemblare. E visto che qualunque cosa è assemblabi­le, le potenziali­tà non si contano.

Quest’anno Ima punta a un fatturato da 1,55 miliardi di euro — in pratica raddoppiat­o rispetto a quello di cinque anni fa — e a 250 milioni di margine operativo lordo.

Per il futuro ha intenzione di bruciare altri record: «Mi sembra realistico pensare che tra cinque-sette anni il nostro giro d’affari possa essere raddoppiat­o rispetto a oggi», ha detto ieri Alberto Vacchi, presidente e amministra­tore delegato, durante il Family Business, il festival Laboratori­o delle Imprese familiari, organizzat­o a Bologna da della Sera, Aidaf e Università

Bocconi.

Uno dei segreti della crescita di Ima (che non ha mai delocalizz­ato) sta in una politica di acquisizio­ni in giro per il mondo. «Sia chiaro — spiega Vacchi —. Noi lavoriamo con una logica federativa. Non c’è nessuna colonizzaz­ione. Spesso il socio fondatore resta a gestire l’azienda. così come l’organizzaz­ione interna non cambia. Per noi è fondamenta­le che l’imprendito­re mantenga il suo ruolo: la logica federativa paga sempre».

Le ultime operazioni, quest’anno sono state l’acquisizio­ne dell’82,5% di Tissue machinery company (58,8 milioni di euro, in questo caso si parla di macchine per il confeziona­mento di prodotti tissue e personal care) inoltre Ima ha esercitato l’opzione di acquisto di un ulteriore 31% di Petroncini (8,6 milioni di euro, macchine per il caffè).

È lo stesso Vacchi ad ammettere che nel caso di Ima la famiglia si è dimostrata il miglior alleato.

Lungimiran­te, in particolar­e, la scelta del padre Marco Vacchi, oggi presidente onorario, di gestire per tempo il passaggio del testimone.

«Mio nonno investì in una industria tecnologic­a, mio padre fu delegato a gestire l’azienda dal padre prima, dalla madre e dalle sorelle a seguire. Non ho mai sentito di una mancanza di fiducia di rispetto tra loro — racconta Alberto, che dal 2007 assomma le cariche di presidente e amministra­tore delegato —. Oggi gestisco io, i miei cugini mi hanno dato piena fiducia e per me è primario non deludere le loro aspettativ­e. Oltre a quelle di chi ha investito in Ima attraverso la Borsa».

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A sinistra: Antonio Polito, vicedirett­ore del Corriere, con Claudio Marenzi, presidente di Confindust­ria Moda, Alessio Rossi, presidente Giovani Industrial­i e Costanza Musso, ad Grendi. A destra in senso orario: Maria Silvia...
Business e relazioni A sinistra: Antonio Polito, vicedirett­ore del Corriere, con Claudio Marenzi, presidente di Confindust­ria Moda, Alessio Rossi, presidente Giovani Industrial­i e Costanza Musso, ad Grendi. A destra in senso orario: Maria Silvia...
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