La storia della Russia come battaglia ideale: addio a Richard Pipes
Aveva visto il totalitarismo con i suoi occhi e aveva rischiato di rimanerne vittima da adolescente, nella Polonia spartita tra nazisti e sovietici. Anche per questo lo storico americano Richard Pipes, scomparso all’età di 94 anni, si era consacrato alla causa della democrazia liberale. Nato l’11 luglio 1923, veniva da una famiglia di ebrei assimilati: il padre era un imprenditore e intratteneva frequenti rapporti con l’estero. Come Pipes aveva narrato nel libro di memorie del 2003 intitolato in latino Vixi («Ho vissuto») e mai tradotto in italiano, questo aveva favorito la fuga della famiglia negli Usa quando la Polonia era stata invasa dal Terzo Reich, nel 1939.
Ottenuta la cittadinanza americana, Pipes si era specializzato in storia russa e aveva insegnato ad Harvard dal 1958 al 1996. Riteneva che il dispotismo bolscevico fosse in larga misura erede dell’impero zarista, nel quale non si era mai affermata la tutela della proprietà privata e dei diritti individuali. Su questo si era trovato in polemica con lo scrittore dissidente Aleksandr Solženitsyn, che invece attribuiva gli orrori del Gulag solo all’ideologia comunista: a suo dire quella di Pipes era «la versione polacca della storia russa».
I critici più agguerriti dello studioso di Harvard si collocavano però a sinistra, anche per via del suo impegno politico. Sfavorevole alla distensione tra Usa e Urss, negli anni Settanta Pipes aveva fatto parte del gruppo di esperti Team B, che si contrapponeva agli analisti ufficiali della Cia, il Team A, poiché riteneva che sottostimassero la minaccia sovietica. Tra il 1981 e il 1982 era poi stato membro del Consiglio per la sicurezza nazionale (Nsc) sotto il presidente Ronald Reagan, di cui era un convinto estimatore: molti altri politici escono invece male dalle sue memorie.
Sul piano intellettuale criticavano Pipes gli storici «revisionisti», che si mostravano più benevoli verso il regime sovietico e le sue prospettive di evoluzione democratica. Se l’ascesa di Mikhail Gorbaciov sembrava dare torto a Pipes, il successivo crollo dell’urss aveva invece convalidato il suo giudizio circa l’irriformabilità del sistema comunista. Poi dagli archivi russi erano usciti documenti inediti e irrefutabili circa l’estrema ferocia di Lenin e Pipes ne aveva raccolti parecchi nel volume The Unknown Lenin («Il Lenin sconosciuto») edito nel 1996. Anche questo libro non è stato pubblicato in Italia, dove tuttavia sono usciti diversi lavori di Pipes: La rivoluzione russa (Mondadori, 1995), Il regime bolscevico (Mondadori, 1999), Comunismo (Rizzoli, 2003) e Proprietà e libertà (Lindau, 2008).
Senza dubbio lo storico di Harvard aveva vissuto i propri studi anche come parte di una battaglia ideale, in questo imitato dal figlio Daniel, che invece è uno specialista di terrorismo islamico. Ma sarebbe ingiusto concludere che il valore scientifico dell’opera di Pipes ne sia stato inficiato. La stessa deriva autoritaria del regime di Vladimir Putin dimostra che le sue ragioni non erano prive di fondamento. Anche perché non erano animate da pregiudiziale russofobia. Anzi, Pipes si era sentito in dovere di sottrarre all’oblio la figura di un russo, il consigliere di Gorbaciov Aleksandr Jakovlev, dedicandogli una biografia nella quale gli attribuiva un ruolo fondamentale nel processo di demolizione del sistema comunista.