ATTORI ALL’INDICE, ERDOGAN «IMBAVAGLIA» TEATRO E TELEVISIONE
«Ècome se fossi un lebbroso, nessuno ti vuole parlare, nessuno ti vuole venire vicino». Tante, troppe persone in Turchia hanno vissuto sulla propria pelle le conseguenze dell’ohal, lo stato d’emergenza decretato all’indomani del fallito colpo di Stato del 15 luglio 2016 e tuttora in vigore. Il giro di vite ha travolto ogni settore del Paese nell’estenuante ricerca dei «traditori della patria». La cultura non ha fatto eccezione. Migliaia di teatri sono stati chiusi, centinaia di festival cancellati e anche gli attori sono finiti all’indice esattamente come i giornalisti e i professori universitari. Un anno fa il dipartimento di Teatro dell’università di Ankara è stato decimato e uno dei più noti conduttori d’orchestra Ibrahim Yazici è finito all’indice. È di qualche settimana fa l’accorato appello di un’attrice di rilievo, Fusun Demirel, 60 anni, licenziata su due piedi nel 2016 per aver detto che avrebbe voluto interpretare il ruolo della madre di una guerrigliera. Da allora nessuno le ha più offerto un ruolo: «Datemi un lavoro — ha implorato —. Che cosa ho fatto nella vita a parte essere un esempio di umanità, amore e servizio pubblico? Non posso sopportare questo». La disperazione di Demirel è un grido di dolore uguale a quello di tanti altri turchi emarginati solo per aver espresso opinioni dissonanti. Sono più di 77 mila le persone arrestate dopo il fallito golpe e 151 mila quelle cacciate dal lavoro. Una sorta di «rivoluzione culturale» di stampo islamico . Da quando ha conquistato il potere nel 2002 Recep Tayyip Erdogan ha cercato di mutare l’eredità secolarista del fondatore Mustafa Kemal Atatürk ridando smalto e vigore al passato Ottomano. Oggi in tv dominano le serie a sfondo storico. La preferita del presidente è «Payitaht» che racconta la vita di Abdul Hamid II, il penultimo sultano (detto il Sanguinario) che, guarda caso, cercò di tenere insieme l’impero con un esercito di informatori.