SUI TRATTATI INTERNAZIONALI CI GIOCHIAMO LA CREDIBILITÀ
Scenario È sempre possibile modificare un accordo ma senza una valutazione dell’intera architettura si può andare incontro a conseguenze negative
Il contratto di governo recentemente approvato dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega, e la discussione che si è sviluppata nel corso della sua redazione, hanno evidenziato una serie di proposte che si pongono in contrasto con gli accordi internazionali ed europei sottoscritti dall’italia, in particolare quelli relativi all’unione economica e monetaria e alla politica estera e di sicurezza comune europea.
Le reazioni a queste proposte hanno in larga parte riguardato la forma, piuttosto che la sostanza, risultando di fatto deboli, se non addirittura controproducenti. Se è vero che i trattati e gli accordi devono essere onorati dai Paesi, indipendentemente dai governi che si susseguono, è anche vero che questi possono essere modificati, se è in gioco l’interesse fondamentale di un Paese. La modifica degli accordi richiede l’unanimità, ma non è impossibile ottenerla se si portano avanti posizioni che mirano a raggiungere un risultato migliore. In ultima istanza, accordi e trattati possono sempre essere disdetti, anche unilateralmente. L’importante è capire se una tale disdetta sia effettivamente nell’interesse del Paese. Su questo punto la discussione è stata finora alquanto povera, e si è spesso limitata a un’analisi parziale. Prendiamo due esempi semplici. Il primo è quello delle sanzioni nei confronti della Russia, la cui eliminazione è proposta esplicitamente nel contratto di governo. Tale proposta prevede presumibilmente una iniziativa mirante a convincere i nostri partner europei e americani a ritirare le sanzioni esistenti. Se ci riusciamo, bene. Altrimenti, rimane l’opzione di un’azione unilaterale. In questo caso l’italia si escluderebbe dagli accordi transatlantici, togliendo le sanzioni nei confronti della Russia. L’impatto di questa azione sembrerebbe a prima vista positivo per l’italia, poiché le nostre imprese colpite dall’embargo potrebbero nuovamente esportare verso la Russia, grazie anche alla rimozione delle loro contro-sanzioni. Se l’analisi degli effetti si ferma qui, rompere l’alleanza con gli alleati europei e americani dovrebbe produrre effetti favorevoli. Purtroppo, la realtà è un po’ più complessa. I nostri partner europei, di fronte a tale decisione, cercherebbero probabilmente di evitare che si venissero a creare triangolazioni commerciali attraverso l’italia per scavalcare l’embargo, sottoponendo l’export delle nostre aziende a severi controlli sull’origine della produzione,
Pericoli La rimozione delle sanzioni alla Russia esporrebbe le aziende italiane alle ritorsioni dei partner europei e Usa
che tenderebbe a penalizzare l’export italiano verso l’unione Europea. Gli americani, da parte loro, applicherebbero sicuramente le loro leggi sull’embargo per sanzionare le aziende italiane che esportano verso la Russia in violazione del loro embargo, e le banche italiane che finanzierebbero tali aziende. Di fatto, la rimozione delle sanzioni da parte dell’italia nei confronti della Russia esporrebbe le aziende italiane alle sanzioni e ritorsioni da parte dei nostri partners europei e degli Stati Uniti. Data la dimensione relativa dell’export italiano verso la Russia rispetto a quello verso l’unione Europea e gli Stati Uniti, il gioco non sembra valere la candela. Farebbe solo perdere credibilità all’italia.
Il secondo esempio è quella della richiesta alla Bce di cancellare, poi corretto in sterilizzare i titoli di Stato italiani detenuti in bilancio, a seguito degli interventi di politica monetaria, ed escluderli dal calcolo del debito pubblico ai fini dei requisiti di convergenza europei definiti nel trattato di Maastricht e nel Fiscal compact.
Questa proposta richiede una modifica dei trattati, che vietano in particolare il finanziamento monetario dei bilanci pubblici. Ma anche facendo l’ipotesi che l’italia riuscisse a convincere gli altri Paesi di fare tale modifica, quale sarebbe il risultato? L’effetto immediato potrebbe essere quello di
Tempi
Le proposte di politica economica non possono essere esaminate soltanto in base agli effetti immediati
decurtare le statistiche del debito pubblico italiano di circa 10 punti rispetto al Pil, portando il nuovo dato intorno al 120%. L’effetto visivo potrebbe essere apparentemente favorevole.
Ma quali sarebbero le implicazioni generali di una tale decisione? Di sicuro, questa modifica renderebbe molto più difficile per la Bce acquistare titoli di debito pubblico italiano, o degli altri Paesi. La Bce verrebbe infatti immediatamente accusata di attuare non più un’azione monetaria bensì una politica fiscale, con un impatto diretto sul debito emesso dai vari Stati. La Bce avrebbe molte più difficoltà nell’acquistare debito pubblico per implementare la sua politica di quantitative easing, come ha fatto negli ultimi tre anni. Verrebbe meno la possibilità di mettere in atto l’impegno della Bce stessa, annunciato da Draghi nel 2012, di fare tutto il necessario («Whatever it takes»), anche con acquisti illimitati di titoli di Stato, per evitare una crisi finanziaria. Senza l’ombrello della Bce il rischio sui titoli di Stato italiani si impennerebbe di nuovo, aggravando l’onere per i contribuenti. In altre parole, la proposta produrrebbe come risultato di ridurre l’efficacia della politica monetaria, soprattutto in fase espansiva, il che non è proprio nell’interesse dell’italia in questo momento.
Lo stesso ragionamento si applica alle proposte di rivedere le regole fiscali, o quelle dell’unione bancaria, che compongono il quadro istituzionale all’interno del quale la Bce ha effettuato i suoi interventi. Non è possibile cambiare un pezzo senza influenzare l’intera architettura, indebolendola invece di rafforzarla come sarebbe interesse di un Paese che nei prossimi anni deve emettere 300-400 miliardi di titoli di Stato all’anno. In sintesi, le proposte di politica economica non vanno esaminate solo in base agli effetti immediati o alle compatibilità con i trattati, ma soprattutto in base agli effetti globali, inclusi quelli sulle altre politiche economiche e alla reazione degli altri attori del sistema di cooperazione internazionale.
Senza una valutazione complessiva, si rischia di avanzare rivendicazioni il cui effetto principale è la perdita di credibilità del Paese, e che rendono poi molto più difficile sostenere altre riforme e iniziative di cui il Paese avrebbe veramente bisogno.