Pippo Fava, pregi e difetti di un’agiografia con toni mélo
Qui si parla del film televisivo «Prima che la notte» dedicato a Pippo Fava, non di Pippo Fava (Rai1, mercoledì, ore 21.20). La distinzione è importante perché il giornalista, ucciso il 5 gennaio 1984 su ordine del boss Nitto Santapaola, ha combattuto a Catania con fermezza e intelligenza la mafia e il suo omertoso propagarsi.
Perché nei suoi numerosi scritti, non solo giornalistici, ha spiegato il vero volto dell’organizzazione criminale, capace di manovrare migliaia di miliardi di lire, «di armare eserciti, possedere flotte, avere un’aviazione propria». Ma in grado anche di controllare il consenso elettorale, grazie ai voti che aveva a disposizione, decretando ascesa e caduta di uomini politici e imprenditori.
Il film, scritto da Michele Gambino (collaboratore di Fava), dal figlio Claudio e da Monica Zapelli, diretto da Daniele Vicari, appartiene al genere dell’agiografia, con tutti i pregi e i difetti della scelta. Da un lato la forte spinta etica (la passione per la Sicilia, l’impegno e il coraggio civile, il giornalismo come missione), dall’altro l’inevitabile retorica e i toni mélo del racconto (narrativamente, il rapporto con la moglie lascia molto a desiderare). L’interpretazione di Fabrizio Gifuni è impeccabile ma pone un serio problema di convenzione recitativa, cioè l’uso continuo dell’accento siciliano. Nel ricoprire il ruolo di De André, Luca Marinelli era stato stoltamente accusato di non essersi espresso con accento genovese.
Ma dove sta scritto che gli attori debbano sottostare a questa parodia neorealistica? L’aspetto più delicato, però, è un altro. Claudio Fava (politico, giornalista, sceneggiatore e scrittore) si autorappresenta, cioè scrive una sceneggiatura non solo su suo padre, sulla sua famiglia (cosa di per sé già molto ardua), ma su sé stesso. Mah! P.S. Consiglio di leggere il libro Pippo Fava di Massimo Gamba (Sperling & Kupfer).