Corriere della Sera

Le rovine come arte involontar­ia

Gli artisti di Alterazion­i Video raccontano in un volume le opere mai finite: le rovine come arte involontar­ia Autostrade interrotte, scale che portano al cielo Un museo degli orrori che diventa cifra del Paese

- di Gian Antonio Stella

«Maestro, la sua opera viene mangiata dal tempo, è un disastro e i tecnici non trovano rimedio: cosa dobbiamo fare?», chiese un giorno il sindaco di Gibellina Giovanni Navarra a Fausto Melotti, che al paese rifondato grazie a decine di artisti mondiali dopo il terremoto del Belice aveva donato Il contrappun­to. Il celebre scultore non fece una piega: «Bene, era previsto così. Amo l’arte che degrada».

Fosse ancora vivo, potrebbe apprezzare un libro in uscita ricco di orrori e intelligen­za. Si intitola Incompiuto. La nascita di uno Stile, l’hanno ideato, curato e corredato di foto di brutale bellezza gli artisti di Alterazion­i Video con Fosbury Architectu­re, con contributi tra gli altri di Filippo Minelli, Davide Giannella ed è pubblicato da Humboldt Books. Col contributo di grandi firme della storia e della critica d’arte, dell’archeologi­a, della fotografia.

Non ci sono tutti, ovvio, quegli aborti cementizi. Come ha provato l’anagrafe delle opere pubbliche incompiute di interesse nazionale, pubblicata nel 2013 dopo anni di denunce, quei mostri che fecero buttar via sproposita­te quantità di soldi, sono infatti 1.470. Comprese quante hanno flebili speranze d’esser completate. Ad attrarre i giovani che dal 2007 si son messi a catalogarl­i per il «Manifesto dell’incompiuto Siciliano», invece, sono i 696 cadaveri edilizi destinati a restar lì in eterno. Come certi ponti «su pilastri conficcati fino in fondo alla valle che non sopportano altro peso che quello del cielo».

Per la prima volta nella storia, spiegano, «siamo arrivati a toccare il fondo producendo le rovine che lo testimonia­no, ma senza combattere una guerra». Rovine che spesso sembrano installazi­oni con qualcosa di perversame­nte geniale. Tempo fa il corriere.it pubblicò un titolo memorabile: «Le incompiute di Giarre (Catania) nella top ten turistica di “Usa Today”». Tra i suggerimen­ti ai lettori del giornale america-

È uno stile internazio­nale, scrive il critico Robert Storr, ma tipico dell’italia, anzi della Sicilia, da cui ha avuto origine

no c’era un viaggio a Giarre: «Questo angolo di Sicilia offre moderne rovine archeologi­che. Contiene 25 enormi strutture incompiute costruite negli ultimi 60 anni…». Secondo lo scrittore di viaggi Alastair Bonnett si tratta infatti di «progetti enormi e inutili» ma «piuttosto magnifici».

Una provocazio­ne? Una fake-recensione ironica nella scia delle incursioni di «Striscia la notizia» che furono così tante, ride il suo creatore Antonio Ricci, «che ti sembra sempre di vedere la stessa cosa perché sono tutte uguali, perché hanno tutte lo stesso stile: strutture incomplete, invase dalla vegetazion­e o dagli abusivi, armature in vista, serramenti sradicati, interni svuotati, impianti elettrici smantellat­i» tanto che alla fine «una vale l’altra, come lo stacchetto delle veline»?

Macché, l’antropolog­o francese Marc Augé scrive che la vista delle incompiute di Giarre gli ricorda le «rovine Maya di Tikal in Guatemala» ed esalta «la bellezza dei progetti di cui restavano portatrici, la bellezza di ciò che avrebbe potuto essere», «del gesto originale e dello slancio primario bruscament­e interrotto».

«Non c’è Paese più ricco di rovine, e quindi di sogni, dell’italia. L’italia ha tutto: Grecia classica, Roma classica, barocco, epoca moderna, e anche quella che si definirebb­e postmodern­a», scrive il critico, pittore e scrittore americano Robert Storr. Ma «se da un lato le rovine mi attirano, penso che la venerazion­e delle rovine nell’arte occidental­e abbia portato spesso a una feticizzaz­ione del passato, della morte, un po’ preoccupan­te. Quindi se possibile, è più affascinan­te contemplar­e le rovine del ventesimo secolo».

L’insensatez­za amministra­tiva, la criminalit­à di troppi maneggioni, la cecità di magistrati distratti avrebbero finito infatti per dare vita (eterogenes­i dei fini) a uno stile di insensato fascino: «È come se un costruttor­e quasi surrealist­a avesse all’im- provviso iniziato a erigere qualcosa e altrettant­o all’improvviso si fosse fermato per motivi che non scopriremo mai, quindi si possono incontrare scalinate che non portano da nessuna parte e pali che non sorreggono nulla, ogni genere di anomalia architetto­nica. Il piacere di contemplar­e queste rovine è il piacere di indovinare come sono arrivate fino a lì e perché sono finite così. È uno stile internazio­nale, in un certo senso, ma anche peculiare dell’italia, anzi, della Sicilia, visto che è da lì che ha avuto origine». Conclusion­i di Storr: «La loro bellezza sta proprio nel fatto che sono incompleti».

Arte quelle schifezze di cemento marcio e spuntoni arrugginit­i? «Perché no? Dopo tutto, lo schizzo pittorico nei musei o l’abbozzo musicale dei concerti o delle sinfonie incompiute hanno da tempo diritto di cittadinan­za», concorda il filosofo e urbanista francese Paul Virilio, «Più che le arti e i mestieri, questo “museo dell’abbandono” rappresent­erebbe il disastro simbolico della costruzion­e» a partire dalla «più celebre fra esse, la Torre di Babele». E lo stesso storico dell’architettu­ra Marco Biraghi, ricordando che incompiuti sono «capolavori come la Pietà Rondanini di Michelange­lo, Il castello di Franz Kafka, l’ottava sinfonia di Franz Schubert o la Decima di Gustav Mahler» si avventura sulla stessa strada: è un «miracolo» che si compie, «l’incompiuto diventa stile. Uno stile “di fatto”. Uno stile malgré soi. Uno stile che è anche, e ancora di più, uno “stile di vita”: modus vivendi et operandi tipicament­e italiano».

Per carità, saranno pure «capolavori» del «New Style» quei viadotti col vuoto in mezzo dove mai è passata un’auto, quelle piscine diroccate dove mai si è tuffato un bimbo, quello stadio di Giarre per il polo («Ci dissero: per il calcio non ci sono picciuli. Potremmo trovarveli per il polo») dove mai si sono avvistati un cavallo e un cavaliere con la stecca di bambù… Ma ce la vedono l’arte i cittadini che han visto buttare miliardi?

Il sindaco di Palermo Leoluca Orlando è convinto che «in questa terra di Sicilia la vera corruzione non si fa costruendo, si fa progettand­o» e che «i progettist­i sono stati i mega collettori di tangenti» perché non importa nulla che un’opera sia finita a chi ha «come solo interesse la propria parcella». Il guaio, sospira, è che la lingua siciliana «non conosce il futuro. Noi diciamo: “Io tra un anno vado a Roma”. Non “io andrò a Roma” ma “io vaio a Roma”: non c’è il verbo futuro nel dialetto siciliano». C’è solo «l’eterno presente». E «chi vive l’eterno presente lascia le opere incompiute».

«Come archeologo», ragiona Salvatore Settis, «mi chiedo sempre come siano sorte le rovine. Mi domando come siano caduti i resti che vediamo del mondo antico, quanto ci abbiano messo a cadere. E vedo, all’opposto, che stiamo creando rovine nuove, stiamo camminando lasciandoc­i dietro una scia di rovine». Rovine di arte involontar­ia? La provocazio­ne lo intriga. Ma alla fine… « Mi piacerebbe vedere quanti di questi fabbricati non compiuti, che siano ponti, strade, scuole eccetera, sono stati interrotti il giorno dopo le elezioni politiche, regionali, comunali…».

Piscine diroccate, viadotti col vuoto in mezzo. E a Giarre uno stadio per il polo

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1 Pontile Ex Sir, Lamezia Terme, Catanzaro 2 Viadotto Mussomeli, Caltanisse­tta 3 Casa di riposo di Roccamonfi­na, Catanzaro 4 Viadotto San Giacomo dei Capri, Vomero, Napoli
Alcune immagini tratte dal volume Incompiuto. La nascita di uno Stile 1 Pontile Ex Sir, Lamezia Terme, Catanzaro 2 Viadotto Mussomeli, Caltanisse­tta 3 Casa di riposo di Roccamonfi­na, Catanzaro 4 Viadotto San Giacomo dei Capri, Vomero, Napoli

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