Prova di forza che allarma Mattarella I timori per una legislatura lacerata
Opassa Savona al ministero dell’economia o crolla l’intesa e si va al voto. Ecco il senso del nuovo stallo politico di cui il presidente del Consiglio incaricato, Giuseppe Conte, ha parlato nel tardo pomeriggio di ieri a Sergio Mattarella. Riferiva la posizione dei soci della sua maggioranza, il premier in pectore. Cioè quella di un’ostinata resistenza di Lega e 5 Stelle a qualsiasi dubbio, pur minimo, sulle controindicazioni che la candidatura dell’economista eretico — eretico rispetto all’ortodossia Ue, s’intende —, associato ai due leader che lo hanno scelto, sta sollevando al Quirinale e in tutt’europa. Dalle Cancellerie di maggior peso ai massmedia più influenti del continente. Dalle Borse allo spread, schizzato a quota 216 (e va considerato che alla soglia di 250 può scattare il declassamento delle agenzie di rating, con il rischio che la Bce non compri più i titoli italiani).
Una sfida drammatica, una crisi che si avvita. Una prova? Il senso di assedio che si respira intorno al Colle. I consiglieri del capo dello Stato rispondono ai cronisti con la formula dei prigionieri di guerra: nome, grado, numero di matricola. Aggiungono solo un telegrafico cenno a come qualificare l’incontro: «Informativo e interlocutorio» (il che significa che è andato molto più male che bene). Stop delle comunicazioni. E stop alla speranza che Conte sciogliesse la riserva presentando una lista nella quale dimostrasse di condividere, in autonomia rispetto ai «diktat» di Matteo Salvini e Luigi Di Maio, le forti perplessità di Mattarella su Paolo Savona. Del resto era stato proprio Conte ad assicurare al Quirinale, nel colloquio culminato con l’incarico, che non avrebbe voluto in squadra «una mina vagante» e mai non avrebbe portato l’italia fuori dall’euro.
Tutto rinviato ad altri negoziati, che potrebbero riguardare pure altri dicasteri. Per il provvisorio inquilino di Palazzo Chigi gli spazi di mediazione sono strettissimi e sembra molto difficile che possa far cambiare idea al leader leghista, dopo averlo sentito di-
L’ombra delle elezioni Il rischio che l’esecutivo nasca in un clima di tutti contro tutti o che si torni presto al voto
chiarare: «Sul nostro nome non molliamo di un millimetro. Piuttosto non votiamo la fiducia».
E qui sta il punto politico: chi cederà, tra i partner dell’alleanza e Mattarella? Qualcuno racconta che il capo dello Stato non sarebbe disposto ad arretrare perché, oltre ai pericoli d’isolamento internazionale per l’italia, sono in gioco le prerogative e l’autorevolezza dell’istituzione presidenza della Repubblica (e, aggiungiamo, un po’ anche la sua personale reputazione). Ma è intuibile che il calcolo costi-benefici di un fallimento di quest’ultimo tentativo per dare un governo al Paese, dopo 80 giorni di desolante vuoto politico, imporrebbe al capo dello Stato di chiudere in fretta la legislatura, con richiamo dei cittadini alle urne nel primo autunno e un intuibile grande balzo in avanti dei partiti populisti, impegnati in una permanente campagna elettorale.
Variabili che sottintendono altre domande. Che cosa è meglio? A chi giova una prova di forza così aggressiva, che minaccia di spaccare la comunità nazionale? E chi bluffa? Di sicuro c’è — ed è l’assillo del presidente, chiuso in un’angosciosa solitudine — che un esecutivo che nascesse in questo clima lacerante, di rottura di tutti con tutti, rischierebbe di essere comunque un esperimento politico assai breve. E, bisogna sottolinearlo, costoso per gli italiani.