Sgambetto a Rajoy, è crisi in Spagna
Dopo le condanne al «sistema PP», i socialisti lanciano la sfiducia. Si va alle elezioni? Ciudadanos in testa
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Per la prima volta in quasi quarant’anni, il maligno «sgambetto» istituzionale che si chiama «mozione di censura» potrebbe funzionare in Spagna, costringendo l’attuale presidente di un governo di minoranza, il conservatore Mariano Rajoy (Partito Popolare), a dimettersi a metà mandato e a cedere la poltrona a Pedro Sánchez, il leader dei socialisti.
Le regole della partita prevedono che il promotore di una mozione di censura contro il capo del governo sia automaticamente candidato a succedergli; e debba quindi raccogliere poi in Parlamento una maggioranza di voti per il suo programma e il suo Consiglio dei ministri. La mossa, dal 1980 a oggi, è già fallita tre volte. L’ultima l’anno scorso, quando era stato Pablo Iglesias, segretario di Unidos Podemos, a tentare di prendere le redini del potere esecutivo.
Ma la «cintura», per Rajoy, si è stretta l’altro giorno con la sentenza definitiva dell’audiencia Nacional sul «caso Gürtel», un’inchiesta lunga 18 anni che era stata avviata dal giudice, poi rimosso, Baltasar Garzón. Gürtel, cinghia in tedesco, correa in spagnolo, come il cognome di uno dei principali imputati, è il cappio in cui sono rimasti intrappolati vari notabili del Partito Popolare, anche se nessuno di quelli attualmente al governo. Lo scandalo aveva colpito, come Tangentopoli, amministratori della comunità di Madrid, di Valencia, sindaci, segretari locali del partito, tutti accusati di aver percepito prebende in cambio di trattamenti di favore.
La giustizia ha fatto il suo corso infliggendo infine condanne pesantissime a 29 dei 37 imputati, tra cui l’ex tesoriere dei Popolari, Luis Barcenas, che dovrà scontare 33 anni di carcere e pagare una multa di 44 milioni di euro. Anche il Pp, che pure aveva tentato di costituirsi parte civile, non ne esce indenne: dovrà risarcire 240 mila euro perché beneficiario indiretto di azioni illecite. E nella sentenza, i giudici lanciano un siluro contro lo stesso Rajoy, mettendo in dubbio la sua testimonianza.
Era l’assist che attendeva Sánchez, per lanciare il suo guanto di sfida a Rajoy e al suo governo di minoranza. A due anni dalla scadenza naturale (si dovrebbe tornare a votare nel 2020), in Parlamento ricomincia la conta. Per rovesciare il presidente, i socialisti hanno bisogno di 176 voti e il Psoe ha soltanto 84 deputati, più un alleato di Nuevas Canarias. Pablo Iglesias ha dato semaforo verde ai suoi: sono altri 67, e si arriva a 152.
Per i voti mancanti, Sánchez ammicca ai 32 eletti di Ciudadanos, il partito conservatore di Albert Rivera che, essendo in testa ai sondaggi pre elettorali, pretende però in cambio un ritorno immediato alle urne: Sánchez diventerebbe 33,2
22,7 20,6 12,7 10,8 26,7 22,1 21 18,1 12,2 così primo ministro solamente per il tempo di sciogliere le Camere e convocare elezioni anticipate. Cui invece non tengono affatto i leader del Psoe e di Podemos, al momento in netta perdita di consensi. Inoltre Pablo Iglesias e Albert Rivera sono peggio che incompatibili fra loro: sono nemici dichiarati.
Un altro serbatoio di appoggi, contro Rajoy, è quello dei partiti nazionalisti, che includono però gli indipendentisti catalani eletti al Congresso e targati Pdecat ed Erc (a ● Barcellona sono gli stessi gruppi che hanno sostenuto il referendum secessionista del primo ottobre scorso e la conseguente dichiarazione unilaterale d’indipendenza di Carles Puigdemont). Per schierarsi con Sánchez, che sette mesi fa aveva invece spalleggiato il commissariamento della Catalogna in difesa della Costituzione, è probabile che pretendano un cambio di linea dal nuovo governo a guida socialista. Erc (Esquerra Republicana de Catalunya) ha comunque già fatto sapere che ci sta. L’ago della bilancia sarebbero infine il piccolo Partito nazionalista basco, Pnv, con i suoi cinque voti, e l’ancor più ridotta formazione di nazionalisti di Valencia, Compromís, con quattro.
Dalla Moncloa, Rajoy si prepara a resistere alla carica; e contrattacca ricordando che neanche la fedina del Psoe è immacolata, quanto a scandali pecuniari. Il premier in bilico accusa Sánchez di voler governare, «senza aver vinto le elezioni», a costo di allearsi con chicchessia. Peggio, pregiudicando la ripresa dell’economia spagnola, una delle più vivaci in Europa dopo la devastante crisi.
Con la sua chiamata alle armi, «tutti contro Rajoy», Sánchez rischia certamente di perdere, ma spera almeno di dimostrare al Paese che il Psoe esiste ancora.